Una giornata tra i pistacchieti di Bronte: così le tradizioni sopravvivono al climate change
La strada si contorce, la vista del mare cede il posto al profilo delle montagne e tutto intorno si fa verde pistacchio, nero vulcano: «Benvenuti nel territorio di Bronte». Per chi viene da Catania (ma non solo) andare a Bronte tra settembre e ottobre ha un fascino unico, quasi anacronistico. Infatti, ogni due anni in questo periodo, la gente del luogo e dei territori limitrofi si riversa nelle campagne per la raccolta del pistacchio più ricercato e pregiato al mondo. Le curve che conducono nel cuore della cittadina incastonata tra vulcano Etna e monti Nebrodi sono cinte da pistacchieti su cui donne e uomini carichi di ceste si piegano fin dalle prime luci dell’alba per coglierne i frutti. A giudicare dal paesaggio che, prepotente, penetra dal finestrino, si potrebbe persino credere che tutto il pistacchio del mondo provenga da Bronte. Ma è davvero così? E cosa lo rende meritevole del suo successo internazionale? In prossimità dell’inizio della sagra, che proprio in questi giorni ha preso il via, la scorsa settimana abbiamo preso parte alla raccolta dell’oro verde. A guidarci in questo viaggio tra rocce, pale di fichidindia e uliveti del suo terreno è stato Salvatore Virzì, che è anche proprietario di uno dei molti negozi per appassionati di pistacchio su Via Umberto.
COME TE NON C’È NESSUNO. Quanto pistacchio di Bronte c’è nel mondo? «Tutto da Bronte viene», ironizza Salvatore mentre tende la mano verso la frastucara (la pianta, in dialetto), coglie un pistacchio e con una pietra lo apre per farcelo assaggiare. «Da qui in realtà proviene tra l’1 e il 2% della produzione mondiale, ma il nostro si fregia del marchio DOP proprio perché è il suolo lavico ricco di minerali, circondato da biodiversità, a donare proprietà e qualità organolettiche inconfondibili». Violacei fuori, verde brillante dentro, forma allungata, quasi appuntita, i pistacchi di Bronte sono lunghi il doppio rispetto a quanto larghi e hanno un aroma dolce e delicato. Se freschi, poi, hanno un profumo resinoso, dovuto proprio alla resina che secernono e che bisogna evitare vada a finire tra i capelli o sui vestiti. Salvatore ce lo ricorda mentre chiacchieriamo sotto gli alberi con Filippo, 73enne che ormai da anni giunge qui per la raccolta da Carcaci (Enna). Con lui 4 instancabili donne e un ragazzo. Cantano e raccolgono, ripetendo un gesto antico. A rendere speciale il pistacchio di Bronte concorre, infatti, anche la raccolta manuale: il terreno impervio rende impossibile, oltre all’irrigazione, l’uso di macchinari. Un processo faticoso che motiva gli alti costi di produzione: per 6 ore di lavoro ognuno dei sei operai viene pagato 85 euro lordi. Una volta raccolto il pistacchio viene smallato entro 12 ore. Poi tre giorni al sole per asciugare oppure in forno per 24 ore. Infine, è conservato nelle celle frigorifere e venduto col guscio e senza.
UNA RACCOLTA SOCIALE SECONDO NATURA. In queste settimane le curve che portano in paese, pressoché deserte durante l’anno, si riempiono di auto parcheggiate sul ciglio della strada, dove si affacciano molti pistacchieti. «Durante la raccolta – spiega Virzì – il centro di Bronte è vuoto. Si inizia a popolare sul tardi perché tutti dormono in campagna, per evitare furti e per svegliarsi presto già a lavoro». E in effetti, una passeggiata serale rivela tutta l’attesa per questi momenti. Persino a scuola si respira un’aria diversa: fioccano le battute sull’andamento della raccolta e diversi studenti si assentano per aiutare le famiglie. Sono usanze che si ripetono ogni due anni, solo in quelli dispari. Il perché ce lo spiega Salvatore: «L’anno in cui non si raccoglie serve a far riposare la pianta. C’è chi se ne frega e per ovviare usa sostanze chimiche. Per me il vero pistacchio è quello biologico». Il pistacchio come stile di vita in armonia con la natura che, di recente, è messo a rischio dai danni all’ambiente: «Quest’annata – ci dice il raccoglitore Filippo, incupendo per la prima volta il volto – ha risentito del cambiamento climatico. Ti ricordi la grandine caduta in primavera? Poi si è aggiunta la forte pioggia che ha reso la pianta vulnerabile a un fungo». Prende tra le mani un rametto: «Vedi? I grappoli, un tempo, erano chini chini».
UN BUSINESS DAL CUORE D’ORO. A dispetto delle sfide climatiche, questo piccolo frutto verde, portato in Sicilia dagli arabi, continua a fare da traino per tutta l’economia locale. Un business che vale 90 milioni di euro, merito anche del Consorzio del “Pistacchio Verde di Bronte DOP” che lo tutela e da cui Salvatore ha ottenuto la rigorosa certificazione per le sue piante. Rispetto al 2010, anno in cui ha aperto il suo negozio, ha registrato una crescita tra l’8% e il 10%. «Quando vengo qui a volte sento ancora la voce di mio padre che amava profondamente questa terra, adesso la mia ricchezza più grande». A 700 metri sul livello del mare, la natura ha ancora valore, la natura è ancora famiglia. La natura è verde.