Roberto Occhipinti «Sono l’ultimo dei Modicani a Toronto»

«Sono l’Ultimo dei Modicani a Toronto!», scherza Roberto Occhipinti al telefono dall’altra parte dell’oceano. «È un gioco di parole al quale ricorro spesso», ride. Quasi per rivendicare quelle origini siciliane che la sua carta d’identità gli nega, ma che rivela l’accento stile “broccolino” del suo italiano. «Mio padre e mia madre se ne andarono da Modica agli inizi degli anni Cinquanta. Non perché volevano andare all’estero, ma perché costretti. Non avevano nemmeno il pane per mangiare…», ricorda. «Avevano già due figli. Io sono il primo nato in Canada, poi sono venuti un altro fratello e un’altra sorella. Mi sento con i piedi in due mondi».

A Toronto, dove è nato il 25 marzo di 66 anni fa, Roberto Occhipinti è diventato un grande contrabbassista e bassista. Ha una formazione classica ed ha suonato in tutte le più importanti orchestre sinfoniche canadesi. È passato per la musica contemporanea, per un anno è stato il bassista dei Gorillaz di Damon Albarn, ha composto colonne sonore per cinema, cartoons e televisione, ma, appena può, si dedica alla sua passione per il jazz. «Se suono il contrabbasso, è perché mi capitò di ascoltare da giovane Ray Brown in trio con Oscar Peterson. Compresi che quello strumento era la mia voce», racconta. Ha suonato e fatto concerti con Sam Rivers, Jane Bunnett, Hilario Duran, Jamey Haddad, Jovino Santos Neto, Don Byron, Jeff Coffin, Uri Caine, Bob Mintzer, Enrico Rava, Stefano Bollani, Benny Golson, Dafnis Prieto e con il fratello Michael. «Sono venuto più volte anche in Sicilia. Ho diviso il palco con Rino Cirinnà, Dino Rubino, partecipando a diversi festival».

E che l’Isola e, soprattutto, il caldo sole siciliano stiano nel cuore dell’artista costretto a vivere nel gelido Canada lo testimoniano il titolo dell’album di debutto nel 1998, Trinacria, e poi il disco Stabilimento, uscito nel 2016, sulla cui copertina domina la foto dello stabilimento bruciato di Sampieri, la Fornace Penna. «I miei hanno una casa a Marina di Modica e ogni estate ci trasferiamo là. Capita così di fare il bagno davanti allo stabilimento bruciato. Mio figlio scattò una foto, che poi è diventata la copertina dell’album».

In “The next step” il contrabbasso da strumento ritmico diventa anche melodico, armonico. Sa essere classico, jazz, swing, fusion, afrobeat, soul e funky

Riporta, invece, a Siracusa un altro lavoro: Music for Solo Bass. «Ero ospite di alcuni festival nella zona e così avevo affittato una casa a Ortigia per un mese. Vicino c’era una chiesetta sconsacrata, utilizzata per fare mostre. In quei giorni esponeva l’artista romagnolo Mauro Drudi. Dipingeva i volti della Madonna su tela o su legno nello stile di Andy Warhol. C’era una musica di sottofondo che però non mi piaceva. Così gli proposi un duetto nella chiesa fra me e Rino Cirinnà. Tornato a casa, a Toronto, ho acquistato un nuovo microfono e l’ho provato da solo, improvvisando per un’oretta nella cantina di casa mia. Quel lavoro, riascoltandolo, l’ho visto bene come sottofondo alla mostra di Drudi. L’ho mandato a Mauro dicendo che poteva usarlo come colonna sonora. La gente che lo ascoltava chiedeva di poter comprare il disco. Che non c’era. Così decisi di inciderlo».

Il sole che ha lasciato in Sicilia l’ha trovato nella più vicina Cuba, dove Roberto Occhipinti è ospite fisso da una ventina di anni. «“Tu lasciasti ‘a Sicilia e diventasti cubano”, mi rimprovera mio zio», ride. «Ho viaggiato ventotto volte a Cuba, suono quasi in pianta stabile nella formazione di Hilario Duran, con il quale ho girato nelle piazze di mezzo mondo, ho registrato anche con il percussionista Horacio “El Negro” Hernandez».

Ma è colpa del Covid se da due anni Roberto Occhipinti non riesce a tornare in Sicilia. «Ho trascorso tutto questo tempo nel mio studio di registrazione, invitando tanti amici a suonare. Ho raccolto materiale per almeno una decina di album». Fra questi dieci album possibili, ha scelto The Next Step, pubblicato per la sua etichetta – guarda caso – Modica Music. Un progetto che lo vede debuttare alla guida di un trio con il «falso siculo» Adrean Farruggia al piano (è d’origini maltesi, nda) ed il canadese Larnell Lewis alla batteria. Il contrabbasso da strumento ritmico diventa anche melodico, armonico. Sa essere classico, jazz, swing, fusion, afrobeat, soul e funky. Diventa protagonista. «È lo strumento jazz che si è sviluppato di più. Sono tantissimi i virtuosi: Scott Lo Faro, Ray Brown, John Patitucci, Eddie Gomez. Anche in Italia: Giovanni Tommaso, ad esempio, o Attilio Zanchì».

Roberto Occhipinti è un musicista dalle tante anime: «Come il jazz. Una musica aperta, nella quale convivono personalità diverse e libere»

Nove brani, in tutto, sei di questi scritti da Occhipinti e tre cover, fra cui la sorprendente O Cessate di Piagarmi di Alessandro Scarlatti, il musicista barocco con natali siciliani. «Intanto esprime la mia formazione, altre volte ho inserito Lucean le stelle o un brano di Beethoven», tiene a sottolineare l’“ultimo modicano di Toronto”. «Il brano di Scarlatti è scaturito dalle mie esperienze nelle colonne sonore. Mi avevano chiesto le musiche per un film italo-spagnolo che si girava a Venezia. Volevano del jazz italiano anni Quaranta. C’era una scena nella quale usavano un’aria di Scarlatti. La preferivano in stile valzer e l’affidarono a una voce femminile. È nata così l’idea di O Cessate di Piagarmi con la voce di Ilaria Crociante». Un adagio che l’artista siculo-canadese trasforma in una morbida canzone d’autore ricca di sfumature jazz, con un evocativo assolo al contrabbasso. Le altre cover sono una rivisitazione di Opus Pocus, brano del mitico Jaco Pastorius, e The Peacocks di Jimmy Rowles, in cui Occhipinti percuote con l’archetto le corde del suo strumento per esaltare il suono poliedrico del contrabbasso, simile a una sezione d’archi. E, alla fine, sembra di ascoltare il disco di un’orchestra piuttosto che di un trio.

Un musicista dalle diverse anime Roberto Occhipinti. «Come il jazz», sorride lui. «Una musica aperta, nella quale convivono personalità diverse e libere. Io amo il contrabbasso, ma non disdegno il basso elettrico, anche se con questo strumento non ho mai registrato un disco. Il mio nome lo lego al contrabbasso. Quando suono elettrico mi nascondo dietro la sigla del mio gruppo, Soul Stew, che prende il titolo dalla canzone di King Curtis. Facciamo funk, soul, r&b».

Allora non è stato un caso capitare nei Gorillaz di Damon Albarn?

«No, no, fu un caso… », ride. «Eravamo nel 2002 e io suonavo nell’ensemble di Jane Bunnett. I Gorillaz erano al primo tour in Nord America. All’arrivo in aeroporto, però, il loro bassista, un giamaicano, venne arrestato perché aveva problemi irrisolti con la con la giustizia americana per traffico di armi e droga. Il giorno dopo fu condotto in carcere nel Milwaukee. I Gorillaz si misero subito alla ricerca di un sostituto. Erano le 11 di un venerdì sera quando ricevetti la telefonata di Mike Smith, che si occupava degli arrangiamenti dei brani del gruppo. Mi chiese se fossi interessato a fare una prova con loro. Non conoscevo i Gorillaz e mi rivolsi a mio figlio: “Fallo papà”, mi rispose senza esitazione. L’indomani ero in albergo con Mike Smith e Damon Albarn. L’intesa fu immediata: Smith aveva studiato jazz a Londra e Albarn è un musicista intelligente. “Puoi venire in tour con noi?”, mi chiesero. Feci presente che avevo un calendario di impegni con il gruppo di Bunnett, ma Albarn insistette: “Ti paghiamo tutti i viaggi per tornare, ma devi seguirci per tutto il tour e venire con noi in Africa”. Appena sentii “Africa”, cadde ogni perplessità: ero incuriosito dalle sonorità africane. Ho fatto con i Gorillaz tutti concerti in Nord America e Messico. Poi siamo stati nel Mali, a Londra e abbiamo registrato per Mtv. Damon Albarn successivamente mi ha coinvolto in un progetto musicale in Mali e, grazie sempre a quest’amicizia, ho conosciuto Tony Allen, che faceva parte di un’altra band-progetto di Albarn, The Good, The Bad & The Queen. Ho suonato con Tony, ed è stato un grande onore… Con Damon siamo rimasti in contatto e quando viene a Toronto lo trovo sempre fra i miei spettatori».

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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