Ancora giovane studentessa di italiano all’università, si trova proprio nel nostro paese quando l’Armata Rossa invade la sua città, ciononstante decide di tornare in patria. La ricostruzione di quei difficili anni che hanno tenuto l’Europa col fiato sospeso e dell’eredità che hanno lasciato dietro di sé

«Per parlare della Primavera di Praga del 1968 e della successiva invasione dei Paesi del Patto di Varsavia ho bisogno di tornare indietro nel tempo all’anno 1948», così la traduttrice di origine ceca Růžena Růžičková inizia il suo racconto. In quell’anno, infatti, il Partito Comunista assunse il potere in Cecoslovacchia con un colpo di Stato che cominciò a preoccupare quando il governo limitò il diritto di espressione. «Nelle organizzazioni cattoliche, in seguito proibite, – prosegue Růžena – s’infiltrarono i membri del partito e i sacerdoti furono invitati ad aderire al Movimento dei Preti per la Pace, controllato dal Governo. L’arcivescovo di Praga, Josef Beran, scrisse una lettera ai fedeli per metterli in guardia dalle “spie” dentro la Chiesa e invitarli alla massima prudenza. Questa lettera fu subito proibita e chi ne fu trovato in possesso fu condannato a quattro anni di prigione».

IL MONDO CATTOLICO. Negli anni ‘60, però, il contesto politico mutò e si preparò alla distensione della Primavera di Praga. «In quel periodo – continua Růžena – studiavo italiano all’Università di Praga. Conobbi don Ricci, don Ventorino e i ragazzi italiani di Gioventù Studentesca, che mi sorpresero con le loro domande sulla situazione dei cristiani in Cecoslovacchia. Approfittando del clima di apertura incontrai molte personalità del dissenso cattolico, tra cui il cardinal František Tomášek che organizzò il nostro viaggio in Italia».

UN ESILIO INATTESO. Nell’agosto del ’68, 17 giovani cecoslovacchi riuscirono così a raggiungere e visitare l’Italia. «Di ritorno da una gita a San Giovanni Rotondo per vedere Padre Pio fummo informati dell’invasione della Cecoslovacchia. Eravamo sconvolti e avevamo paura per i nostri familiari. Il ritorno era previsto pochi giorni dopo e quasi tutti decisero di rispettare i programmi. Io avevo progettato un soggiorno lavoro-studio a Parigi e non rientrai subito, ma non ho mai avuto intenzione di emigrare, tanto è vero che a settembre 1969 sono tornata a Praga, convinta che il mio posto fosse lì».

UN TESORO DA SALVAGUARDARE. Růžena dopo il ritorno continuò a svolgere l’attività di interprete e incontrò così il suo futuro marito, un giovane siciliano con cui, dopo il matrimonio, si trasferì in Italia. «Ora vivo tre culture: italiana, ceca e sicula. Essendomi sposata a Praga ottenni un permesso regolare per seguire mio marito, che consentiva a me di andare a far visita alla mia famiglia e ai miei parenti di venire in Italia. Oggi conservo molto di quello che mi hanno trasmesso: il coraggio e l’amore per la verità, anche quando questo costa sacrificio. Li ammiro perché, nonostante abbiano dovuto superare numerosi ostacoli per il solo fatto di essere cristiani, non si sono mai piegati, né hanno odiato chi li perseguitava. Non penso che il male sia solo nel comunismo e dopo tanti anni in Italia noto che l’uomo non è capace di un sistema politico ed economico giusto. Tutt’ora apprezzo la possibilità di esprimere liberamente la mia opinione e sto in guardia quando percepisco che qualcuno mi vuole limitare o manipolare. Ho imparato a mie spese quant’ è preziosa la libertà e mi sforzo di usarla nel migliore dei modi».

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