Esiste una regola non scritta, valida tanto per la psicologia individuale quanto per quella collettiva, secondo cui più una notizia è improbabile, grossolana, grottesca, più è probabile che venga creduta. Il contrario, si direbbe, accade per ciò che si verifica proprio dinanzi ai nostri occhi, spesso derubricato ad insieme di fatti minuti e insignificanti. Ma è davvero solo questione di – diciamo così – attenzione selettiva? O c’è, dietro questa apparentemente ingenua creduloneria, un meccanismo più complesso e perverso? Una sistematica, a volte imposta, operazione di depistaggio del senso comune, delle verità tangibili? Se poi lo scenario di questo intrecciarsi di dinamiche è la Sicilia, la terra per eccellenza del non detto, del giallo ambiguo che finisce per risolversi il più delle volte con un coup de théâtre, il quadro rischia seriamente di apparire insolubile. A porsi il problema, ad indagare la questione con la finezza ineguagliabile della sua scrittura, fu, non a caso, Leonardo Sciascia. Il quale, riprendendo curiosamente un’idea che già Ennio Flaiano aveva esplorato nel 1954 ambientando il suo breve racconto a Roma, nel 1969 scrisse una breve storia che trovò spazio sulle colonne del Corriere della Sera, di cui notoriamente lo scrittore fu a lungo collaboratore. Un testo decisamente sui generis, in parte divergente dalle abitudini narrative sciasciane, capace quasi di disorientare il lettore con le sue bislacche proposizioni iniziali. Le premesse, infatti, sono tutt’altro che consuete: a Palermo, il 2 ottobre 1965, sono sbarcati i marziani. O, almeno, così si dice in giro per la città, dove ben presto un frenetico tran tran di illazioni si impossessa di ogni vicolo.

Mentre forze dell’ordine, curiosi da ogni parte, persino bambini si accalcano sui balconi, sulle piazze, sui luoghi degli ultimi, fantasiosi avvistamenti, un dubbio comincia a farsi largo nella folla preda di un inspiegabile misto di entusiasmo e terrore: che i marziani – o il marziano, l’unico ad essere stato indicato dai presunti testimoni con al guinzaglio niente meno che un dinosauro – si nascondano in città già da tempo. Che mimetizzati, vestiti come un qualsiasi palermitano di metà ‘900, con movenze indistinguibili, siano già da tempo parte della nostra civiltà. «I bambini lo indicarono improvvisamente, senza esitazione. Sembrava uno come gli altri, era vestito come gli altri; e non aveva baffi. Le sue parole e i suoi gesti di protesta a vedersi indicato come marziano, furono quelli di una palermitano autentico: lo vediamo in ama fotografia mentre agita la mano, le dita raccolte a pigna, nel gesto tipico dei comici meridionali (irresistibile, in Totò) quando senza parlare chiedono che cosa mai volete, e fatevi gli affari vostri e non scocciate, e se per caso non vi ha dato di volta il cervello». Ma, si sa, il confine tra suggestione e follia, tra allucinazione e perdita di senno, è più che mai labile. Ed è così che un povero operaio, individuato come l’alieno trasformista, viene arrestato e portato in caserma per le verifiche del caso. Ma poi, nel giro di una sola giornata, immediatamente rilasciato. «Forse furono fatti accertamenti nel quartiere dove il marziano diceva di abitare, forse furono chiamati a riconoscerlo familiari ed amici. O ad un certo punto qualcuno, tra le autorità, fu assalito dal sospetto che tutto fosse fantasia e scherzo dei bambini: quei due terribili bambini che già in mezzo a quel trambusto, a quel furore e a quella paura, si facevano fotografare e intervistare sorridendo e ammiccando, scambiandosi gomitate d’intesa e parlandosi di tanto in tanto all’orecchio». Il grande caso dell’anno, l’incredibile, fantasmagorica e fantascientifica notizia del secolo si scioglie come neve al sole. E si rivela per quello che è: una bravata da ragazzini. Una baraonda nata dal nulla. Ma cavalcata da qualcuno che ne aveva convenienza. «Ma del rilascio, e che tutto era stato uno scherzo, la città seppe l’indomani dai giornali. Seppe anche come ai bambini era venuta l’idea dello scherzo: avevano visto il giorno prima, in televisione, il film Il risveglio del dinosauro (pellicola del 1953 diretta da Eugène Louriéed ispirata ad un racconto di Ray Bradbury, ndr); e avevano ridotto il mostro alle proporzioni di un cane, lo avevano addomesticato a un marziano, del marziano si erano detti amici, e che andavano ogni pomeriggio a trovarlo in quelle grotte di cui era favola in Palermo come luogo di riunione della setta dei Beati Paoli».

Parrebbe tutto un surreale spettacolo frutto della buona fede di una città annoiata, attratta irresistibilmente da un accadimento fuori dall’ordinario. Della fervida fantasia infantile, andata un po’ troppo oltre nel suo trastullarsi (un po’ come, oggi, accade colpevolmente nel mondo dei social). Ma la conclusione del racconto rivela qualcosa di celato. Una distorsione del pensiero e delle intenzioni. Una sospetta celerità nell’attivazione delle ricerche e delle indagini, diversamente da oltre occasioni, ben più rilevanti. E mentre il sospetto si tramuta lentamente in dato di fatto, l’interrogativo che assale il lettore, in conclusione di questa svalvolata storia, è: credere all’inverosimile è più facile o più comodo? Il simpatico marziano baffuto serviva forse a distogliere l’attenzione da qualcos’altro? «Veloce come un turbine si avvia a palazzo d’Orléans, sede del governo regionale: tutte le luci del palazzo si accendono; il rumore delle carpette che si aprono, dei documenti che si sfogliano, si amplifica nelle sale vuote, rimbomba tra le vecchie mura, esplode nella città. È l’ispezione. Quella vera, finalmente. Ma si può trovare alla favola una morale meno “soprannaturale”. E potrebbero essere queste battute, di una cronaca più recente: “Presidente: Non sa che cosa sia questa organizzazione che viene chiamata mafia? Imputato: Non ne ho idea, so che esiste perché l’ho letto sui giornali. Presidente: La mafia è una organizzazione di mutua assistenza, una specie di massoneria di cui si parlava fin dai tempi di Garibaldi… lmputato: Lo sto sapendo da lei, io di queste cose non mi intendo”. Più lontana del marziano col dinosauro al guinzaglio. Più inverosimile».

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