Il professore e scrittore siracusano, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, ha spiegato come, secondo lui, non esista una reale diversità o marcia in più a contraddistinguere i siciliani, ma, piuttosto, «una visione che noi stessi ci siamo creati»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]S[/dropcap]ulla Sicilia sappiamo un sacco di cose finte, che inficiano quelle vere, anzi le annullano, le spazzano via, ci fanno credere di non avere nessun bisogno di sapere niente perché già sappiamo tutto e abbiamo messo l’asciugamano sotto al sellino. Com’era quella cosa di Mark Twain? Non è quello che non sai, che ti mette nei guai, è quello che pensi di sapere e invece non lo sai».

Nel capitolo Triangoli Mario Fillioley esplicita così la natura “controintuitiva” della sua terra, che nel suo libro “La Sicilia è un’isola per modo di dire” (minimum fax, 2018) viene passata in rassegna attraverso tutti i suoi luoghi comuni e soprattutto attraverso tutto quello che pensiamo di sapere ma che forse non sappiamo. Dalla convinzione ingannevole che in quanto isola sia piccola e visitabile tutta con «motorino e asciugamano sotto il sellino», all’abusivismo edilizio che devasta le coste ma che è utile al turismo, fino ai Normanni e alla caponatina; il tutto raccontato con un’ironia sincera, intelligente e mai scontata. Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con l’autore in occasione della presentazione del libro alla libreria Vicolo Stretto di Catania.

DIVERSI? NON PROPRIO. Mario Fillioley, professore, scrittore e blogger siracusano, divide il suo racconto/viaggio/resoconto in 15 capitoli ognuno articolato come un piccolo saggio su un argomento del mondo siculo. Sulla Sicilia e i siciliani si dice e si è detto molto, ma quanto tutto ciò ci rappresenta realmente? Nel libro Fillioley affronta la questione con un’ironia “normalizzante”: «Io non penso che noi in quanto siciliani siamo diversi o abbiamo la cosiddetta “marcia in più” – spiega l’autore. Siamo al contrario vittime di questa visione che di noi si è creata. Volevo sdrammatizzare un po’ quest’aura che ci portiamo dietro, fatta di un compiacimento che spesso si tramuta in pigrizia. Ovviamente esiste un carattere siciliano, però bisogna non ingigantirlo, ma trattarlo per quello che è».

LA SICILIA CON GLI OCCHI DEGLI ALTRI. Nel capitolo Normanni Fillioley racconta di come, in Toscana o a Milano, per tutti risultasse un fatto strano che lui, siciliano dell’estremo sud, avesse occhi e capelli chiari. Ma si trattava solo di un falso stupore, in quanto la risposta era in realtà nota a tutti: «E già certo, in Sicilia ci sono stati i Normanni». Così anche essere biondi in Sicilia è un fatto storico particolare, frutto di una commistione di ragioni che vanno a riprendere le svariate dominazioni che si sono succedute. Ma perché proprio intorno alla Sicilia si è formata questa commistione di credenze? «Immagino sia stato per questioni fisiche, geografiche. La Sicilia era un posto che attraeva, ed è ancora oggi un posto dove succedono tantissime cose. C’è quest’aura di eccezionalità che è dovuta al fatto di essere diventati un genere, la Sicilia è un genere. Esserci trasformati in un genere va bene, ma il problema nasce nel momento in cui questo inficia la percezione che noi abbiamo di noi stessi e quella che gli altri hanno di noi».

Un momento della presentazione
Un momento della presentazione

LA SCIABBARRÀ. Uno dei momenti più esilaranti della presentazione è stato la lettura di alcuni passi del capitolo riguardante la Sciabbarrà, l’algida professoressa del ginnasio che Fillioley e si suoi compagni di sventura devono affrontare tra un aoristo del verbo ergazomai e un passo dei Promessi Sposi. A suon dei «PEM! PEM! PEM!» delle “manate” della docente sulla cattedra, vengono fuori alcune ossessioni, come quella del confronto perenne Nord/Sud: «Ci diceva, “voi venite da quaggiù, profondo Sud, “PEM”! “e avete tutto da dimostrare”, “PEM!”», per citare proprio le parole della Sciabbarrà. Il capitolo Professoresse introduce l’argomento “scuola” con il quale Fillioley si confronta giornalmente: «La Sciabbarrà è tutto l’opposto di quanto succede nelle classi adesso – spiega -. Sono convinto che a scuola debbano stare persone giovani, dato che le classi sono molto caotiche e affrontare questo caos ogni giorno richiede davvero una certa freschezza fisica e mentale. Quando si incontrano insegnanti giovani, sono tutti molto motivati e preparati e a differenza delle generazioni passate, di cui la Sciabbarrà è un esempio, sono preparati non solo sui contenuti ma anche sulla didattica».
L’ultima domanda fatta a Fillioley è sul perché abbia deciso di scrivere questo libro. La sua risposta è: «Era una delle poche cose di cui avrei potuto parlare in quanto per me non era possibile scrivere di qualcosa di inventato o che non conosco. Ecco perché forse questo sarà l’ultimo libro che scriverò (ride)».

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