A una settimana dall’arresto del superlatitante, che immagine sta emergendo di Mattia Messina Denaro? La narrazione di un uomo, che tra abiti firmati e orologi di lusso, ha continuato a vivere per trent’anni indisturbato nel suo paese, pur figurando nella lista dei dieci criminali più ricercati al mondo, rischia inevitabilmente di tratteggiare un profilo del boss quasi come fosse un “personaggio di successo”, specie agli occhi di coloro che manifestano un’assenza di memoria storica rispetto alle stragi di cui è responsabile. In contesti di povertà culturale, nei quali la percezione della mafia come ente suppletivo dello Stato è molto radicata, a destare maggiore preoccupazione è la fascinazione dell’anti-eroe sui più giovani. Un problema tutt’altro che circoscritto, se pensiamo che in Italia, secondo le stime di Save the Children, sono oltre centomila bambine, bambini e adolescenti a vivere in uno dei comuni sciolti per infiltrazioni della criminalità organizzata. Da dove ripartire dunque? E in che modo dobbiamo confrontarci con questa notizia? Ne abbiamo discusso con il magistrato Sebastiano Ardita, componente del Consiglio Superiore della Magistratura, da anni impegnato in prima linea nel contrasto ai fenomeni mafiosi ed è autore di numerosi volumi tra i quali “Cosa Nostra SPA. Il patto economico tra criminalità organizzata e colletti bianchi” (Paper First, 2020) e “Al di sopra della legge. Come la mafia comanda dal carcere” (Solferino, 2022).

Dott. Ardita, in un commento pubblicato sul quotidiano La Repubblica, lo storico Salvatore Lupo ha commentato la notizia dell’arresto del boss sostenendo che «Messina Denaro non era il capo dei capi, né il successore di Riina» e che dunque, sebbene sia giusto esprimere soddisfazione per l’arresto, il fatto non dovesse essere caricato troppo di enfasi. A suo avviso è davvero giusto parlare di vittoria dello Stato di fronte a un arresto avvenuto dopo 30 anni di latitanza?
«Dipende dall’angolo di visuale che si adotta. Se si parte dall’idea che nei trent’anni precedenti non si è stati capaci o non lo si è voluto prendere, allora c’è un buon motivo per essere ottimisti. Ma è chiaro che dobbiamo cercare di capire per quali ragioni questa latitanza è durata così a lungo e con quali coperture. Mi sarei aspettato che molti avessero letto il libro di Marco Bova (“Latitante di stato”, Ponte alle grazie, 2021) per capirci qualcosa di più ed evitare di esprimersi per luoghi comuni e senza trionfalismi, ma non è stato così. Per quanto mi riguarda l’arresto ci dà l’occasione per confermare quanto ancora nei nostri territori siano diffusi l’omertà ed il consenso verso cosa nostra, e quanto quest’ultima mantenga saldi i rapporti con i poteri istituzionali. Detto questo dietro ogni arresto di latitante di mafia c’è sempre una narrazione positiva che non può e non deve essere svilita».

«Non avremo speranze di successo contro la mafia se non si lavorerà sulla dimensione sociale capovolta che contraddistingue le nostre periferie»

Come da lei suggerito in una recente intervista a Fanpage, la lotta alla mafia non si esaurisce nella repressione, ma trae la sua forza dall’offrire reali alternative al sistema socio-economico che la sorregge. Da dove dobbiamo ripartire?
«La cattura in sé rappresenta un momento repressivo che può essere utile se utilizzato per smitizzare le lunghe latitanze dei capi storici dell’organizzazione. Ma non avremo speranze di successo contro la mafia se non si lavorerà sulla dimensione sociale capovolta che contraddistingue le nostre periferie. E mi riferisco alla distanza delle Istituzioni dalla gente, allo spreco e alla depredazione delle risorse pubbliche, alla nostra classe dirigente che appare sempre concentrata più su sé stessa, sui profitti e sulle carriere, che sui bisogni della popolazione».

Intervistati dalle TV nazionali e locali, alcuni cittadini di Castelvetrano hanno definito il boss come “gentile”, dipingendolo quasi come una persona normale. Qualcuno ne ha addirittura contestato l’arresto, suscitando accese reazioni, come quella di Pif a Cartabianca. Abbiamo sbagliato qualcosa nel raccontare questa vicenda, in relazione a determinati contesti di povertà culturale?
«Ci sono state espressioni di trionfo in alcuni organi di informazione ed esponenti pubblici. Gli organi istituzionali che hanno operato si sono espressi invece in modo del tutto condivisibile, spiegando che la lotta per la verità inizia adesso. Insieme a questa occorrere un impegno per il recupero e l’inclusione sociale delle realtà sociali più degradate, laddove si ritiene che la mafia abbia una funzione di governo da svolgere e si considera inutile e distante l’azione dello Stato. Sono queste le radici dell’omertà che oggi più che mai affondano sul consenso e non solo sulla paura».

«Se Messina Denaro avesse potuto pianificare la sua comunicazione di immagine prima dell’arresto, non avrebbe potuto immaginarla meglio»

In tal senso, non corriamo il rischio che una visione distorta del boss che al momento dell’arresto non viene nemmeno ammanettato – quasi gli sia voluto concedere l’onore delle armi –  possa finire per prevalere su quella di un efferato criminale?
«Se Messina Denaro avesse potuto pianificare la sua comunicazione di immagine prima dell’arresto, non avrebbe potuto immaginarla meglio. Non solo la mancanza di manette, ma anche la malattia ed il bisogno di cure, i selfie con gli infermieri, i sorrisi e l’atteggiamento da uomo qualunque hanno sterilizzato – per chi non ha memoria delle stragi di cui è responsabile – la figura del boss feroce. Il tutto si colloca a meraviglia nella fase di revisionismo sulla mafia, sul suo potere e la sua pericolosità, e da supporto alla battaglia contro il 41bis e l’ergastolo ostativo».

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email