La storia di Kané, Bakary e Kanjura: dal barcone al lavoro stabile grazie a un corso di formazione professionale organizzato da un ente catanese

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]D[/dropcap]a piccolo sognavo di diventare un dottore, ma presto ho capito che la vita mi avrebbe portato altrove. Adesso, in Italia, il mio sogno è diventato quello di essere un bravo cuoco». Bakary ha diciannove anni e viene dal Gambia. La sua storia non è dissimile da quella di tanti altri migranti, eppure nella sua apparente semplicità, potrebbe mettere in discussione le nostre piccole certezze quotidiane. Lo abbiamo incontrato a Catania assieme ad altri due ragazzi, il gambiano Kanjura e il guineano Kané, presso la sede di “Arché – Piazza dei Mestieri”, ente di formazione professionale etneo che lo scorso anno ha avviato un corso per magazziniere aperto anche agli immigrati. Attualmente tutti e tre lavorano regolarmente. «L’ingresso di Kanjura in azienda – raccontano i responsabili del progetto – ha cambiato lo spirito di lavoro fra i colleghi e oggi c’è molto più entusiasmo». Kané, che è invece stato coinvolto grazie alla Onlus Marianella García di San Giorgio, lavora oggi presso un ristorante della città, così come Bakary.

INTEGRAZIONE. Seppur nel loro italiano fatto di riservatezza, i ragazzi ci parlano di amicizia e nelle loro parole si colgono felicità e gratitudine. «Il mio sogno – racconta Bakary – è diventato realtà: oggi ho l’opportunità di studiare e gli aspetti positivi sono più di quelli negativi». Kané vorrebbe diventare cuoco: «Non è facile integrarti, devi andare a scuola, imparare la lingua, lavorare, ma con l’amore si può fare tutto. Il lavoro mi piace, i colleghi sono bravi. All’inizio avevo un po’ di difficoltà con le verdure e i pomodori, adesso sto migliorando». In Italia da circa due anni, i ragazzi chiamano mamma una volta al mese e utilizzano i social per tenersi in contatto con gli amici e restare aggiornati sulla situazione del loro Paese.

LA STORIA. Kané ci ha raccontato della fuga dalla Guinea a causa dell’Ebola e dello spostamento dapprima in Costa D’Avorio e poi in Libia, dove ha lavorato alcuni mesi come muratore in condizioni di semi-schiavitù prima di poter affrontare il viaggio della sua vita. Paesi come questo, il Sudan, la Turchia e il Marocco utilizzano infatti la propria posizione strategica in maniera strumentale e molti migranti sono costretti a passare mesi detenuti in centri gestiti dal governo, spesso subendo torture. Il flusso migratorio è un business che alimenta molti ingranaggi, a volte sotto lo sguardo omertoso dell’Occidente.

UNA NUOVA PROSPETTIVA. Dialogare con questi ragazzi significa approcciarsi alla questione migratoria in modo diverso rispetto a ciò che emerge ogni giorno dalla lettura delle notizie di cronaca. I loro occhi, cupi e radiosi allo stesso tempo, lasciano intendere molto di più: siamo di fronte a degli esseri umani portatori di dignità e di un percorso sofferto che non può essere giudicato dalle immagini in tv.  Siamo ancora capaci di creare nuovi sogni? Bakary sperava di lavorare come dottore, presto la realtà ha prevalso con la sua necessità di adattamento, ma ciò non l’ha fermato e adesso vorrebbe diventare un cuoco. In che modo la sua esperienza può invitarci a riflettere? «Ogni giorno – racconta ancora – quando esco da casa vivo una cosa nuova che non mi aspettavo». È grazie a questa meraviglia verso il mondo che si può vedere l’altro volto della vita, quello della bellezza.

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