Per chi ha dovuto lasciare la propria terra il periodo di festività non è soltanto un’apprezzata occasione di ricongiungimento, ma una ferita al cuore che ricorda continuamente il momento del nuovo distacco. Con le parole del poeta di Bagheria l’augurio di trovare sotto l’albero questo: la possibilità che scegliere di restare non dipenda solo da una fugace illusione di dicembre. Ma da una Sicilia più attenta ai suoi figli

Fuori sede, emigrati, stranieri di fatto ma siciliani d’origine e di cuore. Il Natale, ogni anno, insieme alla radiosità dei festeggiamenti, in Sicilia porta con sé un pizzico di amarezza. Perché, se da un lato il ricongiungimento con i propri cari e l’intensa condivisione di istanti di serenità sono capaci di rifocillare il nostro animo di isolani alla ricerca della propria riva natia, dall’altro il periodo festivo che da Natale ci condurrà fino all’avvento del nuovo anno suona, per i siciliani vicini e ancor più per quelli lontani, come una maligna ed umiliante beffa del destino, come un’illusione così carnale da apparire vera fino al suo inesorabile sgretolamento. Il risveglio di quella parte di noi stessi che durante l’anno cerchiamo disperatamente di sopire, perciò, la nostalgia di una lontananza vissuta come un’immotivata condanna, fa del Natale siciliano una ricorrenza peculiare, che già nel suo cominciamento, nel suo fare capolino a suon di luci intermittenti e motivetti accattivanti, ha le paurose stimmate della fine. Perché essa non è altro che il ritorno all’ordine naturale delle cose, l’esaurimento di una magia fin troppo breve per poter essere completamente gustata. Questo sentimento tipicamente nostrano è stato magistralmente fotografato da Ignazio Buttitta, che sul connubio lontananza-festività ha costruito il dramma universale del partente e del restante.

«Otto giorni di festa/e ora se ne vanno/perché non è più Natale/e nemmeno è Capodanno./Ritornano nella neve/dove c’è nebbia e scuro,/e c’è un padrone straniero/e il lavoro è duro. […] E partono con il sole/su un treno senza sole/col cuore che gli fa male/e un groppo nella gola./Sul treno senza sole/ col cuore che gli piange:/“Addio bella Sicilia, oh mia terra d’arance!/Oh mia terra d’arance, d’arance e di canzoni, il latte me l’hai dato/ma il pane me l’hai tolto”». Così il poeta di Bagheria si crucciava di questo inarrestabile ciclo di presenza e assenza. Quasi fosse una pausa rispetto al fluire del tempo, l’arrivo delle festività ha la forma di un’oasi in cui abbeverarsi per proseguire l’arduo e lontano viaggio, la stazione lungo un itinerario in cui ricevere un abbraccio consolatorio. Forse è proprio questa malinconica natura del nostro Natale a renderlo estremamente fugace e significativo ai nostri occhi: ci ricorda continuamente il valore inalienabile delle persone e degli affetti ad esse connessi, la presenza di un porto sicuro che ci ripara dalle intemperie della vita con il calore della cura. Eppure, come il componimento di Buttitta testimonia, tutto questo, talvolta, non basta. Perché il distacco raramente è una scelta, ma una necessità ineliminabile; è una lotta con le proprie fragilità, l’impronta che mantiene la nostra creatività viva e reattiva. Piuttosto che abbatterci per il tempo consumato a sognare di tornare, ci invita a spenderci nella nostra totalità per fare in modo che il sogno si tramuti in concreta opportunità, in meta non transitoria, come le festività, del resto, sono, ma permanente, come possesso non più sottoposto alla crudeltà del disfacimento.

L’ondata di gaiezza che sta per diffondersi nelle nostre strade, coprendo per un attimo, come un manto di neve fa sugli aridi pendii di un vulcano, i dissapori e i dispiaceri di una terra che non riesce a realizzare la sua natura, che troppo spesso non sa essere all’altezza della bellezza a cui inneggia, non deve farci dimenticare che Natale sarà per chi, senza avere il tempo di disfare la valigia, subito dovrà voltare di nuovo le spalle alle sue radici. O che, per alcuni, tornare a Natale, tra voli fin troppo costosi e altri impegni, non sarà possibile. Allora, del Natale che sta per giungere, consapevoli di ciò, prendiamo l’auspicio che un po’ della sua ovattata atmosfera finisca per invadere tutto il resto dell’anno. Che non si debbano aspettare le feste per guardare di sfuggita negli occhi le persone che ci amano. Che sia ogni giorno Natale: non nell’abusato senso di bontà e ipocrita comprensione dell’altro di cui tutti si riempiono la bocca, ma nel senso di una scelta di restare che sia sempre alla portata. Non potrebbe esserci regalo da scartare sotto l’albero di Natale migliore di questo: che la Sicilia impari, prima o poi, ad essere in festa tutto l’anno. Ad abbracciare i suoi figli prima di vederli tornare per poi ripetere l’addio.

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