L’urtima storia ora vi cuntu/e ppi stasira mintimuci puntu./Un fattu anticu, di veru amuri/ chi avissi a fari pinsari a tutt’uri/C’era na vota ‘na barunissina/ chi era cchiù janca da luna china. Inizia così l’anonimo Lu Cuntu di la barunissa di Carini che cantava me cantannu. Ci troviamo nella Sicilia tra Sette e Ottocento, dove le piazze vengono animate da itineranti cantastorie, gli orbi, ovvero non vedenti, che accompagnati dai loro strumenti, come il violino, propagavano per l’isola racconti caratterizzati dal dialetto e da una forte espressività. Cunti, come testimoniò il marchese di Villabianca, diffusi prima su carta e libretti stampati, e in seguito su pannelli rettangolari con riquadri che rappresentavano le scene della vicenda caratterizzati da colori sgargianti simili a quelli dei carretti siciliani. Tra le storie anche quella della baronessa di Carini, probabilmente non facile da intonare vista la posizione sociale dei suoi protagonisti. Una vicenda ancora oggi circondata da un alone di mistero, che ha inizio con un matrimonio.

Era il 21 settembre 1543 quando Laura Lanza, a soli 14 anni, venne data in sposa all’allora sedicenne barone di Carini Vincenzo La Grua-Talamanca, un’unione dettata dal volere di Cesare Lanza, signore di Trabia, Mussomeli e Castanea. Un matrimonio di convenienza tra gli esponenti di due famiglie appartenenti al primo rango della nobiltà siciliana. Sei figli, ma una vita infelice quella della baronessa di Carini innamorata di Ludovico Vernagallo, cugino del marito, che risiedeva a Montelepre, feudo non lontano da Carini.

IL DELITTO. Sul versante occidentale della Sicilia, tra le mura del castello di Carini, posto sul colle che si erge al di sopra del borgo, la relazione segreta tra i due amanti, durata circa due anni, fu stroncata da un duplice omicidio avvenuto il 4 dicembre 1563. Il padre che uccide la figlia adultera, forse avvertito, come riporta lo studioso Aurelio Rigoli, da un frate del Convento dei Carmelitani di Carini che ne era a conoscenza. Esiste tuttavia un’altra versione dei fatti: si pensa che a spingere Cesare Lanza a commettere l’omicidio fu un debito che non riuscì ad estinguere con Vernagallo; la baronessa sarebbe quindi rimasta coinvolta per occultare le vere ragioni. L’assassino si rifugiò in Spagna, dove ottenne l’indulgenza del re Filippo II: il diritto di vendicarsi della donna adultera era riconosciuto al marito ed essendo il barone presente, era come se questi avesse commesso l’omicidio. Inoltre Cesare Lanza fece intendere che ad uccidere Vernagallo fu Vincenzo La Grua-Talamanca. «La punizione ‒ scrisse il folclorista Salvatore Salomone Marino ‒ sorpassò la colpa: e gli uomini, ch’erano al governo dello Stato, compiacenti e paurosi non diedero pronto esemplare castigo, ma veri complici favorirono anzi e agevolarono il silenzio e l’oblio». Nessun funerale per gli sventurati amanti e ancora oggi resta ignota la loro sepoltura. Secondo l’atto di morte, analizzato da Salvatore Salomone Marino, si troverebbero nella Chiesa Madre di Carini, ma a destare qualche sospetto è un sarcofago senza nome che raffigura una giovane donna posto nella cripta della famiglia Lanza, nella Chiesa di San Mamiliano a Palermo. Il padre tornò in Sicilia e divenne inoltre pretore di Palermo, il marito si risposò altre due volte e fece rimodernare il castello; sullo stipite della porta che dà accesso alla stanza del delitto fece incidere la frase Et nova sint omnia (E tutto sia nuovo), anche se, stando alle leggende, ogni 4 dicembre una mano insanguinata compare sul muro a ricordare l’atroce delitto, mentre il fantasma di Laura Lanza vaga per il castello in cerca di giustizia.

Si ringrazia Adele Marsala per aver messo a disposizione le sue ricerche storiche

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