A contendersi il prestigioso riconoscimento, nella cerimonia che si terrà a Venezia il prossimo 14 settembre, 5 autori diversi tra di loro, come diversi sono i loro romanzi, che spaziano dalla cronaca storica al surreale. Un elemento, però, li unisce: l’analisi dell’essere umano e delle sue fragilità

Cinque storie che raccontano del nostro presente e del nostro passato affondando la penna nelle piaghe e debolezze dell’umanità, cinque acrobati delle parole dallo stile raffinato e tagliente come Andrea Tarabbia, Laura Pariani e Paolo Colagrande, oppure dal sapore spesso amaro come Giulio Cavalli e Francesco Pecoraro.
Sono loro i cinque finalisti del prestigioso Premio Campiello 2019: il vincitore di questa edizione sarà proclamato sabato 14 settembre durante la tradizionale cerimonia a Venezia. Li abbiamo incontrati in occasione della tappa siciliana del loro tour organizzata dalla Fondazione Oelle e ci siamo fatti raccontare dalla loro stessa voce il messaggio e lo spirito che stanno dietro alle loro opere.

Carnaio

GIULIO CAVALLI – CARNAIO (FANDANGO EDITORE)
In un paesino chiamato D.F., un pescatore di nome Giovanni Ventimiglia sta tornando a casa dopo una pesca infruttuosa quando rinviene il cadavere di un migrante. È solo l’inizio: il paese sarà invaso da una miriade di corpi senza vita e comincerà a sfruttarli per il proprio tornaconto economico. «Carnaio nasce in Sicilia – ha raccontato Cavalli – dove mi sono recato più volte nei panni di giornalista per occuparmi di immigrazione. Ovviamente la letteratura consente di esprimersi senza gli spazi delimitati dal giornale o i tempi imposti dal teatro ed è per questo il luogo che abito più volentieri. Nel romanzo ho voluto immaginare cosa accadrebbe se cominciassimo ad infeltrirci sentimentalmente, chiudendoci in un sovranismo psicologico e occupandoci esclusivamente dei nostri piccoli cortili. L’idea nacque quando un giorno, in giro in Sicilia per un’inchiesta, un pescatore mi raccontò che molto spesso tra le reti trovava dei cadaveri che venivano ributtati in mare per evitare di andare incontro al sequestro della barca. Parlando di questi cadaveri usò un aggettivo che mi colpì molto, disse: “quando li peschiamo sono lessi”. L’uso di un aggettivo culinario  per descrivere un corpo che è stato una vita mi ha colpito molto perché è come se tutto quello che non ci appartiene divenisse un safari emozionale e noi avessimo il dovere di essere egoisti».

copertina La Vita Dispari
La vita dispari

PAOLO COLAGRANDE – LA VITA DISPARI (EINAUDI)
Buttarelli è un ragazzo che vede solo una parte di quel grande libro che è il mondo, perché il suo sguardo ne afferra solo le pagine pari. La sua vita è quindi oscurata per metà ed è un tragicomico susseguirsi di inciampi, vessazioni e casualità fino alla sua scomparsa che genererà un intrigante mistero. «Mi piace dire che Buttarelli è un po’ tutti noi. La parabola di questo ragazzino – spiega l’autore Colagrande – che ha una percezione del mondo parziale, subisce un’inversione di rotta quando a scuola, imparando a leggere e scrivere, si rende per la prima volta conto di questa sua diversità. Quando la scuola e le regole sociali lo convincono che esiste un’altra metà, lui è costretto a cercare la parte mancante, muovendosi su un palcoscenico di insensatezza. Limiterà al minimo i contatti con la realtà, sarà intollerante agli spazi divisi a metà e disorientato di fronte alle differenze, come quella tra maschio e femmina. Tutti noi in fondo, come questo ragazzo dalla vita dispari, abbiamo un modello di esplorazione e conoscenza che ci influenza e non ci permette di vedere il tutto, ma percepire sempre e solo una parte della realtà».

Laura Pariani, il gioco di santa oca
Il gioco di santa oca

LAURA PARIANI – IL GIOCO DI SANTA OCA (LA NAVE DI TESEO)
Un viaggio nell’autunno del 1652, quando una comunità, che da anni subisce le angherie dei nobili locali che razziano i paesi della brughiera lombarda, si raccoglie attorno ad un capo-popolo, Bonaventura Mangiaterra. Una storia di resistenza e rivoluzione a cui partecipano anche le donne, costrette ad indossare abiti maschili per imbracciare le armi. «Il passato è una delle mie ossessioni, – racconta Laura Pariani – in fondo qualsiasi sia l’ambientazione di un romanzo, ne viene fuori sempre ciò che all’autore più interessa. Ricordo che alcuni anni fa fui invitata alla Fiera del libro a Buenos Aires e durante la cena uno dei conviviali disse “scrivere è un po’ come fare lo striptease”. Sicuramente scrivere significa sempre denudarsi, tirare fuori delle cose molto intime; certo la ballerina di striptease mostra sempre le sue bellezze, lo scrittore invece mostra anche le sue bruttezze ed ossessioni. La memoria e il rischio della sua cancellazione sono cose che mi fanno palpitare e mi indigna che di questa rivolta contadina del ‘600 in cui Bonaventura Mangiaterra, in nome di una sua lettura del Vangelo, dichiara che non devono esserci differenze tra uomo e donna, non sia rimasto null’altro che una notarella in un archivio. La letteratura può in questi casi salvare dalla dimenticanza».

Francesco Pecoraro, lo stradone
Lo stradone

FRANCESCO PECORARO – LO STRADONE (PONTE ALLE GRAZIE)
Lo stradone è il luogo privilegiato d’osservazione del narratore, un anziano che vive in una comunità invecchiata, di cui coglie le principali contraddizioni, come la convivenza tra due città diverse tra loro: quella di Dio e quella di Merda. «Nel romanzo coesistono tre piani narrativi – spiega Pecoraro – il primo riguarda la percezione del presente che è abbastanza desolata, non perché il protagonista abbia uno sguardo cinico, ma perché la situazione della città di Dio è tale e rispecchia quella della penisola di cui è capitale. C’è poi un piano narrativo che racconta la vita dell’io narrante e di tutti noi, privilegiati che per 70 anni abbiamo vissuto senza la guerra. E infine il terzo piano, quello storico, che il protagonista costruisce con le sue ricerche sulla storia della borgata in cui vive».

Andrea Tarabbia - Madrigale senza suono
Madrigale senza suono

ANDREA TARABBIA – MADRIGALE SENZA SUONO (BOLLATI BORINGHIERI)
I protagonisti del romanzo sono due, il principe Carlo Gesualdo da Venosa, autore di famosi madrigali tardo cinquecenteschi e Igor Stravinskij, maggiore compositore del ‘900, come due sono i libri nel romanzo, uno dentro l’altro. «L’idea di mettere insieme questi due musicisti non è mia, – racconta Tarabbia – è la storia del ‘900 ad averli fatti incontrare. Carlo Gesualdo è stato il più grande madrigalista della sua epoca ma per tre secoli e mezzo è stato dimenticato, o meglio ricordato solo per aver ucciso la moglie nell’ottobre del 1590, dando vita a numerose leggende. Stravinskij lo scopre ormai 70enne, completa alcuni madrigali giunti in maniera frammentata e gli dedica un’opera. È a questo punto che mi inserisco con il mio romanzo, fingendo che Stravinskij in una giornata di pioggia sia costretto a rifugiarsi in una libreria antiquaria di Portalba dove uno strano tizio, l’uomo uccello, gli consegna una cronaca, forse falsa, della vita di Carlo Gesualdo da Venosa».

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