Non soltanto Polifemo e la sua grotta alle falde dell’Etna: al contrario di quanto solitamente si pensa, le tappe isolane della presenza del mitico eroe greco nella nostra isola sono ben più numerose. Selvagge e spettacolari nel loro misto di inaccessibilità e fulgore, sancirono definitivamente la Sicilia come terra di sogni immortali

Osservando il tipico panorama dei faraglioni che contraddistingue il litorale acese, per un siciliano sarebbe tutt’altro che improbabile perdersi tra quelle meraviglie. Non soltanto per la forza romantico-contemplativa promanata da un mare con pochi eguali, ma anche in virtù di uno spirito ancestrale e mitologico che sembra aleggiare su quei luoghi. Chi, infatti, almeno una volta, non si è fermato ad ammirare la magnificenza di quei massi senza gettare un pensiero alla paradigmatica ed eroica vicenda di Ulisse e dei suoi compagni? Alla furia di Polifemo che, ferito ed umiliato dal celebre inganno, mira con la loro temibile mole all’imbarcazione disperatamente in fuga? Una scena iconica, rimasta nell’immaginario popolare anche a prescindere dalla lettura dell’Odissea, che testimonia non soltanto la fittizia presenza del grande personaggio in Sicilia, ma anche il potere affabulatorio che l’isola ha saputo esercitare sui racconti fondativi dell’Occidente letterario. Ma se credete che le avventure di colui che escogitò lo stratagemma del cavallo per sconfiggere i Troiani si limitino al fugace scontro con Polifemo, potreste sbagliarvi.

Non stupisce, del resto, che i due grandi poemi greci, scritti nell’VIII sec. a.C pur rifacendosi ad eventi leggendari presumibilmente avvenuti tra il XIII e il XII secolo a.C, riservino ampio spazio alla trattazione della Sicilia. Che proprio negli anni di composizione delle due opere riceveva i primi coloni, provenienti per lo più da Calcide Eubea. La fertilità e la facilità d’attracco dei suoi splendidi porti, infatti, rappresentavano una ghiotta occasione per avventurieri in cerca d’affari o di sfollati in cerca di una nuova vita. E lo stesso Ulisse vi si soffermò più di quanto si pensi nel suo tentativo di raggiungere la sua agognata Itaca. Approdato presso la lontana corte dei Feaci – che secondo alcune moderne interpretazioni potrebbero essere stati di origine siciliana, precisamente provenienti dal territorio dell’odierna Camarina – l’eroe elenca ai suoi cordiali ospiti le tappe del suo peregrinare. Oltre all’episodio dei Ciclopi, di cui viene fatta intendere l’ubicazione alle falde dell’Etna, viene citata un’isoletta boscosa e ricca di capre. Benché l’identificazione non sia sempre di facile individuazione, potrebbe trattarsi della cosiddetta Isola Lachea, il più grande degli “Scogli dei Ciclopi” di Acitrezza.

Viene anche detto che, per accedere a tale isolotto, Ulisse e compagni attraccano in un piccolo porto piano e ben protetto dai venti, seppur ricoperto da una densa caligine. Ci sono pochi dubbi che la poca visibilità sia dovuta alle ceneri provenienti da un’eruzione vulcanica. Più complicato risulta individuare con certezza il luogo dell’attracco: alcuni, con il supporto di Plinio il Vecchio, vi hanno visto la località catanese di Ognina; altri non hanno escluso che l’accenno possa rimandare all’odierna Magnisi, non lontana da Augusta, piccola penisola collegata alla terraferma da un sottile istmo. Per finire, oltre ad un ulteriore accenno dell’eroe che ci permette di ricostruirne la presenza presso le Isole Eolie, Ulisse menziona anche il paese dei Lestrigoni, popolo dedito alla pastorizia e situato presso un’alta rocca che permetteva loro di difendersi agevolmente. Anticamente, ma non solo, tale luogo venne individuato nella Piana di Lentini, dove non soltanto le condizioni climatiche e del suolo permettevano un florido allevamento di bestiame, ma la costa alta e a tratti inaccessibile si prestava perfettamente, insieme con il suo stretto porto, ad incarnare il difficile passaggio descritto dall’astuto greco.

Che, in conclusione, con la sua retrospettiva presso il popolo del re Alcinoo, fu uno dei grandi precursori del mito di una Sicilia come terra splendida e indomabile, difficile ma accattivante, florida ma intricata. Nel fissare quelle immagini, che con la loro forza propulsiva attraversano indisturbate i secoli fino ai nostri giorni, l’autore – o gli autori, per non dire i raccoglitori – del mito di Ulisse non ha appena codificato un genere, quello del viaggio intraprendente ed esotico, ma sancito lo statuto di immortalità di cui gode la Sicilia. La quale, guardandosi allo specchio nelle peregrinazioni del Re di Itaca, non deve bearsi di essere culla mitologica, ma trarre ispirazione per sapersi ri-raccontare. Per tornare a mostrarsi terra di scoperte e di stupore.

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