Tra il mito e l’incanto: gli acquerelli siciliani di Louis Ducros

Il pittore svizzero, vissuto nella seconda metà del Settecento, ebbe modo di sbarcare sull’isola per due volte, prima al servizio di due nobili olandesi impegnati nel Grand Tour, poi come esule della Rivoluzione Francese. Amava perdersi tra le grandi vedute paesaggistiche e ripercorrere le antiche testimonianze di chi, prima di lui, aveva visitato le vestigia di un mondo che fu. Tra i primi a fare largo uso dell’acquerello, restituì, con la sua sensibilità, l’immagine di una Sicilia semplice, ma profondamente poetica

Siracusa, dicembre 1625. L’esploratore Pietro Della Valle ha faticosamente raggiunto le sponde siciliane. Malta, dove i Cavalieri dell’omonimo Ordine lo avevano trattenuto temendo che fosse un untore della peste, è ormai alle spalle. Per lui e per il suo seguito, agghindati alla maniera orientale e in possesso di merci esotiche, la meta siracusana è solo una tappa intermedia. Ma gli abitanti, incuriositi da quella stravaganza itinerante, lo convincono a restare un paio di mesi. Giusto il tempo di assistere alla festa di Santa Lucia. Giusto il tempo necessario perché Pietro si imbatta in una visione incantevole: le lavandaie alla Fonte Aretusa. Avvezzo ad etichette sofisticate, a cenni galanti e a rocambolesche avventure, rimane folgorato da quella mitologica semplicità. E decide di scriverne, di lasciare una preziosa testimonianza documentale di quel viaggio così inatteso eppure così suggestivo. Un secolo e mezzo dopo, sulla scia ancora ben distinguibile di quelle parole, si muoverà un altro ospite della Sicilia. Chiamato a mettere la sua arte al servizio di un elegante capriccio. E finito per diventare l’occhio incantato dell’isola. Il suo nome era Abraham-Louis-Rodolphe Ducros, nato in Svizzera nel 1748. Il destino lo condusse abbastanza presto in Italia, dove ebbe modo di studiare. Ma, soprattutto, a maturare il suo stile all’ombra dei grandi paesaggi del nostro Paese. Fu tra i primi, infatti, a fare largo uso della tecnica dell’acquerello, ideale per la celerità richiesta dalla frenesia del viaggio. Generali, sovrani, persino dei papi si rivolsero a lui commissionandogli dei lavori. Ma la sua era un’anima da girovago. Un’anima da Grand Tour, da impressioni sfuggenti che solo della carta o una tela potevano sperare di cristallizzare. Un’anima che amava ripercorrere antiche tracce, immortalare momenti altamente significativi, acquattarsi nella sublime e maestosa quiete delle grandi meraviglie. Furono almeno due le visite in Sicilia, entrambe giunte in momenti umanamente rilevanti.

“Veduta di Messina dopo il terremoto del 1783” (1789)

La prima avvenne nel 1778, al seguito di due nobili olandesi che lo avevano ingaggiato per immortalare le tappe del loro viaggio nel Sud Italia. Nelle sue pennellate decise, ma vagamente romantiche, quasi decadenti, sospese nella sovrapposizione di infiniti piani temporali, emerge la Sicilia degli specchi d’acqua e delle barche ormeggiate. Quella degli orizzonti disegnati dalla timidezza delle colline, delle saline che si specchiano in un cielo carico di nuvole, delle vestigia immerse nel dolceamaro senso dell’abbandono, delle vele che si involano verso mete forse senza ritorno. E poi, naturalmente, quella delle immagini millenarie, degli archetipi. Come la Fonte popolata dalla aggraziata fatica delle siracusane, ricostruita con minuziosa cura proprio seguendo le memorie di Della Valle: con la pietra che bacia il papiro, l’acqua di cristallo che abbraccia il candore dei panni, le pose velate di donne che sanno di Rinascimento. Con una compostezza quasi religiosa, silenziosamente affaccendata nella più prosaica e nella più poetica attività. È su questa sorta di quiete agitata che lo sguardo di Ducros – che dal suo viaggio trasse centinaia di acquerelli, adesso collocati al Rijksmuseum di Amsterdam – amava soffermarsi. Come quando, a seguito del terremoto che coinvolse Messina 1783, egli la ritrasse disperatamente abbarbicata a ciò che rimaneva dopo il passaggio di quella tremenda catastrofe: un riflesso frammentato dalle onde. Un silenzio mansueto e lontanamente mortifero. La forza della speranza che rimane in piedi nonostante gli scossoni.

“Veduta dell’Etna da Capo Passero” (1778)

Nell’isola Ducros tornò dopo quasi vent’anni. I violenti riverberi della Rivoluzione Francese avevano travolto anche lui, residente a Roma ed espulso perché ritenuto vicino alle posizioni dei giacobini. Riparò a Napoli, e da lì tornò a contatto con gli amati scenari siciliani. Trovò consolazione nei paesaggi lunari dell’Etna. Nelle fumarole che lambivano le nuvole. Nei boschi che ne incorniciavano l’imponenza, fungendo quasi da passerella di avvicinamento. Nelle cime innevate. Un ultimo soggiorno a Malta. Un ultimo, intrigante collegamento con la vita di Della Valle. Poi il ritorno definitivo in Svizzera, dove morì nel 1810. Onorato dai connazionali per la sua capacità di travalicare i confini del tempo e della tradizione. Romantico prima dei romantici. Quieto e infuocato come la Sicilia che i suoi acquerelli avevano catturato.

(Foto in copertina: Louis Ducros, “Fonte Aretusa”, incisione del XVIII secolo)

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

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