Si può ancora pensare lo storytelling di uno spettacolo o di una serie tv alla maniera tradizionale? O i nuovi media ci costringono ad adottare modalità comunicative inedite? Di questo hanno discusso in occasione del workshop “Il giornalismo che verrà” autorevoli figure come Raffaella Silipo, Ornella Sgroi e Leonardo Lodato

Adattamento, creatività e un approccio multitasking. Il profilo del giornalista perfetto passa anche attraverso queste caratteristiche, soprattutto se è chiamato a occuparsi di quelle che in gergo si definiscono soft news più morbide rispetto a cronaca, attualità, politica, interni ed esteri – definite non a caso hard news e costruite sulla tempestività di comunicazione – ma non per questo meno importanti. La recensione, oltre che sulla buona scrittura deve basarsi, soprattutto oggi, su una visione più attenta della società che ci circonda sfruttando le potenzialità che ogni mezzo comunicativo ci mette a disposizione. «Noi giornalisti della carta stampata nel passaggio dal cartaceo al digitale siamo in qualche modo stati stimolati – sottolinea la caporedattrice “Spettacoli” de La Stampa Raffaello Silipo – e anche oggi occorre un approccio simile. Pensare di potersi fermare alla pura cronaca di uno spettacolo, un concerto, un film, è anacronistico. Piuttosto una pièce o una serie televisiva possono essere utilizzate come lente d’ingrandimento trasversale sui fatti del mondo». Così ad esempio la serie Netflix “Baby”, incentrata sulla doppia vita di alcune quindicenni romane coinvolte in quello che fu lo scandalo dei Parioli, diventa la fotografia perfetta per capire le nuove scale di valori, la fragilità degli adolescenti e le questioni che li costringono a restare ai limiti. Una lettura che nasce da un approccio capillare dell’informazione, che si diffonde rapidamente con i social networks, modificando la natura stessa della notizia.

LINK. La felicità per un giornalista digitale passa anche attraverso un click ma non si limita solo a questo: la conquista più ardua è sicuramente quella di condurre per mano il lettore alla fine del pezzo. In questo percorso gli ostacoli sono tanti, dettati soprattutto dai supporti, tablet e smartphone in primis, che non aiutano di fronte a un testo molto lungo ma anche i ritmi della giornata che ci costringono talvolta a un approccio frammentato con le notizie. «Bisogna imparare a dire – sottolinea il critico cinematografico Ornella Sgroi – quante più cose possibili in poco spazio, nel minor tempo a disposizione e con un risultato alquanto efficace; sembra un’equazione matematica ma è una buona base di partenza. Con tanta gavetta ed esercizio la riflessione del critico potrà essere immediatamente intercettata dal destinatario, altrimenti il rischio è quello d’incorrere nel deficit d’attenzione del lettore, il quale annoiato dalla lunghezza non arriverà alla fine del nostro ragionamento». Così una critica, che è già un prodotto di nicchia, potrà avere qualche chance in più, a patto naturalmente che si eviti l’effetto copia-incolla deleterio nell’economia dell’articolo. Importante è invece mantenere un approccio etico nei confronti della professione senza farsi fagocitare da Facebook & Co. «I festival del cinema – sottolinea la Sgroi – hanno imposto da qualche anno a questa parte, ai giornalisti accreditati, di firmare un accordo di riservatezza a causa del loro modus operandi, impegnati subito dopo la proiezione a scrivere sui social giudizi affrettati. Il critico è chiamato a fornire al lettore strumenti di analisi e potenziali chiavi di lettura affinché questo elabori il suo giudizio finale e personale sull’opera». Un cattivo uso dei social, infatti, può mettere seriamente a repentaglio la credibilità dell’autore inficiando il suo lavoro: «Il web ha sete di sangue – spiega inoltre la Silipo ­– il mio timore è quindi che ad avere maggiore seguito siano le recensioni più cattive e che si possa puntare a questo aspetto per qualche like in più perdendo di vista l’obiettivo principale di questo lavoro».

Da sinistra: Raffaella Silipo, Leonardo Lodato, Ornella Sgroi

CONSAPEVOLEZZA. Se a livello nazionale le recensioni sembrano godere di ottima salute, in particolare quelle presenti sul web, in provincia diventa tutto più difficile soprattutto se l’obiettivo è avvicinare i Millenials, i quali si informano sempre più con canali costruiti su misura per loro bistrattando decisamente giornali e televisione. Perché non pensare a modi alternativi allora? In questo senso potrebbe venire in nostro aiuto il video; sono molti i giornalisti, provenienti anche dalla carta stampata, che si sono cimentati con questo nuovo medium. Anche in questo caso il discrimine potrà essere l’originalità ma soprattutto la capacità di adattarsi ai nuovi codici: «La recensione in video – sottolinea la Sgroi – deve essere molto più immediata e funzionale, non può parlare il linguaggio ricercato della scrittura. Una buona strategia dei quotidiani potrebbe essere quella di lanciare giovani critici, bravi e con una comunicabilità smart, più adatta al video». Una tecnologia al servizio dell’informazione di qualità, che permetta di creare nuovi percorsi di comunicazione e sviluppo supportando il lavoro del giornalista e favorendo quel patto di fiducia che questi stipula con il proprio lettore e che per nessuna ragione al mondo dovrebbe mai essere tradito.


L’EVENTO. Leonardo Lodato, caposervizio de «La Sicilia», Raffaella Silipo, caporedattore de «La Stampa» e Ornella Sgroi, critico cinematografico e giornalista del «Corriere della Sera» sono stati i protagonisti dell’incontro “Società e Spettacoli: il ruolo delle Soft News nei quotidiani” che si è svolto recentemente alla Scuola Superiore di Catania all’interno del 2° workshop di giornalismo promosso dalla Fondazione Domenico Sanfilippo editore e da Sicilian Post.

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