Tra prezzi alle stelle e climate change, l’olio siciliano si trova di fronte ad un bivio
Chiunque sia stato in un supermercato in questi ultimi mesi avrà notato e lamentato un aumento dei prezzi dell’olio extravergine di oliva: anche la sottomarca un tempo economica adesso arriva a costare 7€ al litro. A confermare questa impressione è un recente rapporto Unioncamere, secondo il quale il rincaro rispetto allo scorso anno è del +73%. A pesare sulla situazione sono i cambiamenti climatici e le loro ricadute sui maggiori produttori mondiali come Spagna. Nel contesto nostrano, invece, mentre alcune zone di eccellenza hanno patito le piogge sovrabbondanti di quest’anno, l’olio siciliano dovrebbe aver superato incolume gli stress climatici. E se l’annata 2023 per l’oro liquido in Sicilia può probabilmente dirsi salva, il futuro si prospetta decisamente incerto e non sono da escludere conseguenze catastrofiche per l’alimento di base della nostra dieta. A spiegarci perché sono stati Giuseppe Rosso, titolare di un’azienda agricola iblea, e Antonio Fazari, produttore oleario e docente di Scienze e Tecnologie alimentari al dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Reggio Calabria.
L’OLIO SPAGNOLO E IL FABBISOGNO MONDIALE. «La Spagna è solita produrre circa un 1,5 milioni di tonnellate d’olio, ma quest’anno il ricavo dell’olivicoltura si aggira intorno a 700-750 mila tonnellate. Conseguenza diretta delle condizioni climatiche avverse: in primavera i fiori sono stati bruciati dal caldo eccessivo e la siccità ha danneggiato le colture intensive, basate su piantagioni di ulivi molto vicini tra loro per i quali l’acqua non è stata sufficiente» spiega il prof. Fazari. «Il Portogallo ha già dichiarato di dover porre fine alle coltivazioni super-intensive e la Spagna si ritroverà nella stessa condizione, per quanto le piogge settembrine abbiano dato una piccola speranza di ripresa. L’unico paese in lieve recupero rispetto alla scorsa stagione è la Tunisia» sostiene il docente. «La carenza di olio spagnolo, che ci portiamo dietro dall’anno scorso – sottolinea d’altro canto Rosso – ha inciso all’80% sulla produzione di olio mondiale e tutti ne pagheranno le conseguenze in termini economici. Se l’olio da supermercato vedrà alzare i suoi prezzi anche del 100%, non lo stesso si può dire dell’olio di produzione locale, quello italiano in generale e siciliano in particolare, che è già di per sé un prodotto di nicchia dal prezzo elevato» continua il produttore».
«La produzione siciliana è sempre stata
Giuseppe Rosso
a macchia di leopardo. Questa è l’annata
della zona centro-occidentale,
ma anche Ragusa è ben messa»
LA PRODUZIONE IN ITALIA E IN SICILIA. «Quest’anno Umbria e Toscana – spiega Fazari – hanno risentito molto delle piogge abbondanti nelle fasi di fioritura e allegagione (ndr iniziale sviluppo dei frutti dai fiori), mentre in Calabria, Sicilia e Puglia la situazione è migliore, anche perché il 75% dei loro terreni agricoli sono adibiti a uliveti». La produzione siciliana ha, poi, le sue peculiarità che la mettono al riparo dagli effetti più estremi del clima: «Qui, per fortuna, l’alternanza annuale che contraddistingue gli anni di raccolta più magri e quelli più copiosi – spiega Rosso – non ha avuto conseguenze drastiche. La produzione siciliana è sempre stata a macchia di leopardo. Ogni anno ci sono sempre zone che vivono il loro periodo più produttivo e altre che stanno a riposo. Questa è l’annata della zona centro-occidentale, ma anche Ragusa è ben messa». Benché la spremitura delle olive non sia stata ancora avviata e si sia in attesa della raccolta della succosa oliva “Ottobratica”, si prevede che il raccolto di quest’anno sarà contraddistinto da piccole quantità e da una produzione di eccellenza: «A livello quantitativo, – continua il produttore – la produzione siciliana e italiana in generale non è mai stata abbondante e non potrebbe mai sopperire al fabbisogno mondiale. Il nostro olio ha sempre avuto un costo elevato, per questo non prevedo che quest’anno avrà particolari rincari, al massimo del 25% circa. Dal 40 all’80% dei nostri acquirenti sono stranieri, dal Giappone agli Stati Uniti».
«Di fronte ai rincari, non è escluso
Antonio Fazari
che i consumatori finiscano per rivolgersi
ad una alternativa di grassi come
il ben più economico olio di semi»
PREVISIONI PER IL FUTURO. Date le circostanze, si è quasi di fronte ad un bivio: quello che potrebbe rivelarsi come un vantaggio per l’olio nostrano che, come nota Fazari, «potrebbe guadagnare nuove fette di mercato vista la scarsa reperibilità e il prezzo elevato dei prodotti spagnoli», corre il rischio di tramutarsi in un colpo durissimo: «Di fronte ai rincari, non è escluso che i consumatori finiscano per rivolgersi ad una alternativa di grassi come il ben più economico olio di semi. Se quest’ultima ipotesi dovesse verificarsi e il consumatore dovesse abituarsi al nuovo sapore, la dieta mediterranea avrebbe fine».