Giovanna Di Benedetto è portavoce di Save the Children
SIRET* – Arrivano a piedi, a qualunque ora del giorno e della notte, anche sotto la neve, tenendo per mano, in braccio o in passeggino uno o più bambini e trascinando trolley che contengono tutto ciò che rimane del loro passato, con lo sguardo rivolto davanti a sé per la necessità di andare avanti e di mettere in salvo se stesse e i loro figli e il cuore lasciato indietro, oltre quel confine che le separa dalla vita che avevano prima e dagli altri affetti più cari, mariti, fratelli, figli già adulti rimasti a combattere. Sono tante le donne che stanno fuggendo dalla guerra in Ucraina, dopo l’escalation delle ostilità, e che stanno attraversando la frontiera con la Romania a Siret. Sono mamme, sorelle, bambine, nonne, un grande flusso declinato per lo più al femminile. Gli operatori di Save the Children le incontrano subito dopo essere entrate in territorio rumeno, dove è stato allestito un punto per cercare di rispondere immediatamente ai primi bisogni con la distribuzione di cibo, pannolini, assorbenti, coperte, kit igienici. Ringraziano i tanti volontari e operatori di organizzazioni umanitarie e della società civile che li accolgono alla frontiera per manifestare tutta la solidarietà, la vicinanza e il supporto e continuano velocemente il loro viaggio, iniziato parecchi giorni prima da ogni punto dell’Ucraina in fiamme, per la paura delle bombe, a temperature che per un mese sono state quasi sempre sotto lo zero, con destinazioni diverse. Molte sono solo in transito per raggiungere amici e parenti in altri Paesi europei.
Come Anna**, 29 anni, arrivata a Siret con la figlia di quattro anni e il figlio di due, insieme alla sorella e alla madre, spinta dal desiderio di proseguire verso la Repubblica Ceca. «Siamo fuggiti perché avevamo paura», ha detto a Save the Children alla frontiera. «C’erano bombardamenti nella zona. L’aeroporto era stato colpito e i combattimenti si stavano avvicinando a una centrale nucleare. Abbiamo visto sparare razzi, distruggere edifici, lungo la strada aerei sopra la testa e tanto traffico. C’erano sirene che suonavano costantemente. Mio marito è rimasto lì, ci ha accompagnati fino al confine prima di tornare indietro. Abbiamo potuto portare solo pochi vestiti e alcune medicine. I bambini non capiscono cosa sta succedendo, e noi ci sentiamo molto male». Anna ci ha raccontato che Daryna, la figlia di soli 4 anni, aveva paura quando a casa sentiva dei colpi, aveva paura quando correvano a nascondersi in cantina e pensava ai carri armati in arrivo. Troppo da sopportare per qualunque essere umano, figuriamoci per dei bambini.
Alcuni di questi nuclei familiari trovano ospitalità in un campo temporaneo organizzato nello Stadio di Siret, dove Save the Children ha allestito uno spazio a misura di bambino, per permettere ai più piccoli di giocare, tornare alla loro dimensione d’infanzia, fare una pausa e lasciarsi per un poco alle spalle le esperienze traumatiche che hanno vissuto. I bambini che frequentano lo spazio arrivano molto provati, preoccupati, con le emozioni congelate, ma dopo poco, tra disegni e bolle di sapone, bambole e palloni, giocando con i loro coetanei liberano tutto il loro potenziale di energia e, sotto la tenda, riprendono a echeggiare risate e grida di gioia. Anche lo sguardo di quelle donne muta. Le madri si rasserenano, almeno momentaneamente, vedendoli sorridere dopo tanto tempo. Ci sono bambini che si aprono, manifestando fiducia e mostrando le cose più preziose che sono riusciti a portare con sé, come un libro animato tascabile che racconta la storia di un coetaneo e di un cane.
Scene simili si ripetono alla stazione di Bucarest, dove è stato allestito da Save the Children un altro spazio a misura di bambino, che accoglie i nuclei familiari in transito alla ricerca di un futuro possibile per sé e per i propri figli in altri Paesi europei, ma con la speranza dichiarata di riuscire a tornare a casa al più presto. Perché ciò che accomuna queste persone che stanno fuggendo dall’Ucraina, più di 4 milioni e 200mila al momento, la metà dei quali bambini, è che hanno visto le proprie esistenze stravolte da un momento all’altro e per strappare i loro figli dalla violenza di una guerra insensata hanno dovuto abbandonare all’improvviso le loro abitazioni e la loro vita per cercare salvezza altrove. Ma la speranza, il desiderio, i sogni sono tutti rivolti a un ritorno veloce alle proprie case, al proprio Paese, ai propri affetti, da cui si sono dovuti dolorosamente separare e di cui spesso hanno perso le tracce. Come è successo a una donna arrivata alla frontiera sudorientale, in quel confine dove a dividere la Romania dall’Ucraina c’è solo il Danubio, che approfittando dello spazio protetto di Save the Children dedicato a mamme e bambini, mentre il figlio giocava tranquillo, si è sfogata con gli operatori, mostrando tutto il suo sgomento e terrore per la sorella, rimasta bloccata a Mariupol, di cui non aveva più notizie da dieci giorni.
Tra le tante brutture di questa guerra ci sono le numerose famiglie spezzate, perché i padri e mariti sono rimasti indietro o perché intrappolati nelle città assediate ci sono altri affetti cari o perché bambini e adolescenti sono stati affidati a familiari e conoscenti nell’agognata speranza di farli mettere in salvo o perché i minori hanno perso i propri familiari nelle fasi concitate della fuga e arrivano soli. A ricordarci che questa guerra, come tutte le guerre, è sempre una guerra contro i bambini, i più vulnerabili nelle situazioni di crisi, le vittime innocenti di decisioni prese dagli adulti. E l’unico modo per restituire loro uno sguardo fiducioso verso il futuro, l’unico modo per garantire loro una reale protezione, è quello di cessare immediatamente le ostilità. Nel frattempo, la primavera sta scalzando l’inverno, ma non si arresta la marcia di questa umanità dolente, dignitosa e coraggiosa, che avanza verso il futuro armata di trolley e passeggini.
* Il valico di Siret è il più importante punto di passaggio tra Ucraina e il nord della Romania
** I nomi sono stati cambiati per protezione