Carnettista. Se questo termine vi suona sconosciuto, o quanto meno insolito, non preoccupatevi: si tratta di un neologismo della lingua italiana introdotto solo all’inizio di quest’anno dal Nuovo Devoto-Oli. Se invece vi sembra avere qualcosa di familiare e il suo significato non vi appare così lontano, probabilmente è perché in passato avete avuto modo di sfogliare – o perché no, di realizzare voi stessi – un carnet de voyage. Il termine italiano, derivato dall’espressione francese traducibile con “diario di viaggio”, si riferisce a quell’individuo che sceglie di realizzarlo a mezzo di penna o pennello entro specifici paradigmi. Il carnettista è innanzitutto un narratore, un viaggiatore lento che seleziona frammenti, scorci e volti dal presente per riportarli sulle pagine del suo diario. Può farlo scrivendo lunghi paragrafi o brevi note, disegni più o meno dettagliati o scarabocchi, raccogliendo oggetti e incastonandoli nello spazio del suo taccuino.

Attività stromboliana dell’Etna del luglio del 2021, acquerello di Claudio Patanè

Qualcuno potrebbe definirlo il travel blogger dei secoli scorsi, se non fosse che quella del carnettista non è un’attività finalizzata alla condivisione, ma nella maggior parte dei casi si tratta di un’esperienza intima e solitaria. Ne abbiamo parlato con Claudio Patanè, carnettista e architetto siciliano, che ha fatto del suo carnet – o diario, taccuino, quaderno – un oggetto straordinario, capace di trattenere l’anima dei luoghi.

«Io lo chiamo anche “custodiario”, perché i miei taccuini funzionano come custodie», spiega Patanè.  «Non contengono solo disegni e note, ma anche oggetti. Un taccuino, infatti, può essere bucato o scavato e volte può trasformarsi persino in un erbario. Il carnet de voyage è un oggetto espandibile, proprio perché all’interno si cerca di contenere un mondo».

Luoghi sfuggenti e simulacri grafici. Sui luoghi e i tempi richiesti dal carnet de voyage, Patanè spiega: «I tempi sono quelli dell’attesa, fuori dall’ordinario e della quotidianità. Il carnettista, che disegni o scriva, raccoglie frammenti della realtà e li mette all’interno del suo taccuino. Nel momento in cui lo fa, si mette in pausa per un istante rispetto al mondo che corre. Pausa che può durare dieci minuti, ma anche due ore. L’obiettivo è trattenere, attraverso il disegno, la scrittura, il collage o – perché no? – anche il montaggio fotografico, l’immagine e il tempo del mondo».

Pelle di serpente raccolta e dipinta durante un’escursione sull’Etna. Acquerello di Claudio Patanè

Quando e dove opera il carnettista? «In viaggio sicuramente – risponde con convinzione – in treno o in metropolitana, per esempio. Per i disegnatori la metropolitana è una grande palestra, perché si deve disegnare rapidamente la massa urbana, l’immagine frenetica e vorticosa di corpi che corrono. Hai i minuti contati e il diario costringe la mano e la matita a muoversi sempre più velocemente. I luoghi dell’attesa sono i migliori: le stazioni, gli aeroporti, le sala d’attesa del medico. Invece di utilizzare il cellulare per immortalare il momento, noi usiamo il carnet».

Se questi sono i tempi dettati dalle impressioni della città e dall’anima delle persone che la abitano, cosa succede quando ci si allontana nella dimensione extraurbana? Come è facile immaginare, davanti a un paesaggio sgombro e meno abitato i tempi si dilatano e le suggestioni cambiano: «Nel mio caso tutto cambia durante le escursioni e i percorsi naturalistici nel parco dell’Etna», spiega. «Abitando poi in una piccola città in riva al mare, cerco di trovare il mio tempo per disegnare lì e concentrarmi sugli oggetti che rilascia il mare. Pietre, sassi, pezzi di legno. Tutto quello che può entrare graficamente e fisicamente all’interno del carnet. Questo permette di tradurre l’oggetto in simulacro grafico. La copia non identica, la copia che è visione e ricordo».

Urban sketchers solitari e acquerelli impuri. «Esistono poi dei luoghi che negli anni mi hanno portato a utilizzare il diario non solo come palinsesto intimo, ma come strumento di condivisione di esperienze con altri carnettisti. Ci sono momenti di incontro, sia a livello nazionale che internazionale, con gruppi come quello degli urban sketchers o ai festival del diario di viaggio, come quello organizzato a Clermont-Ferrand in Francia. Ma sia chiaro: l’approccio al carnet de voyage è sempre personale. È un’esperienza solitaria».

«Poi si aggiunge l’esperienza virtuale dei social – continua – e qui forse nasce una contraddizione. Come può un diario così intimo essere pubblicato in maniera compulsiva sui social? Forse Instagram è la morte del carnet de voyage, anche se ti permette di metterti in contatto con altri carnettisti e quindi di scoprire nuove tecniche e approcci».

Schizzi al tavolo di un bar. Chine e acquerelli di Claudio Patanè

È bene ricordare che i disegni sul carnet de voyage non ricercano il bello, non sono quadri e non nascono per essere incorniciati. Ciò che viene riportato su pagina sono pensieri sfuggenti ed esperienze intime. Dagli scarabocchi più rapidi, spesso incompleti, agli schizzi più dettagliati.

La ricerca estetica del carnettista, infatti, segue traiettorie non convenzionali, talvolta violando le usuali tecniche del disegno: «La carta è qualcosa di antico, il supporto più prezioso. Io per scelta io la utilizzo in maniera impura. Utilizzo carta liscia e leggera, quasi come ali di farfalla, non adatta all’acquerello. Una carta che fa letteralmente acqua da tutte le parti e fatica a seccarsi. Mi piace il suo incresparsi e ondularsi, creando più spessore nel taccuino».

Per quanto riguarda la scelta dei soggetti, la risposta è indefinita e mutevole come gli acquerelli sul suo taccuino: «Mi piace andare alla deriva. Sfrutto al meglio il tempo che mi viene dato quando mi incammino. La scelta del luogo e del soggetto è la cosa più complessa, ma spesso sono loro che ti chiamano: magari è un’ombra particolare che ti chiede di essere disegnata, quasi come una visione, un miracolo o il visibilio, che dura pochi attimi. E tu in quel momento, disegnando, diventi filtro della realtà che ti attraversa».

Campionature della terra. Studi e schizzi di Claudio Patanè

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