Superando le diffidenze che accompagnano da sempre le anime solitarie, questi uccelli hanno conquistato un posto nelle nostre case assurgendo a emblema di ogni dotto. Le origini di questa associazione vanno cercate però in un’antica moneta

Se c’è una cosa che accomuna i laureati di ogni disciplina questa è la bomboniera di laurea. Che sia in medicina o in architettura, in lettere o in lingue, la civetta è l’intramontabile custode di confetti tutti gusti + 1 purché rossi. In legno, ceramica, metallo, abbiamo tutti in casa una statuetta anche di pochi centimetri di questa creatura della notte donata dal cugino o dell’amica in ricordo del coronamento d’alloro. È proprio grazie alle feste di laurea che la civetta e i suoi simili sono stati rivalutati riemergendo da una storia simbolica controversa. Com’è finita dall’Antica Grecia sulle nostre mensole?

IL SUCCESSO NEL GENERE FANTASY. Se è soprattutto il Medioevo a segnarne la fama di uccelli del malaugurio, è il genere fantasy a ridar loro gloria a partire da quegli stessi tratti che le hanno rese creature apparentemente magiche. Ammettiamolo, dire gufo è dire Anacleto. Il personaggio dalla risata inconfondibile di La spada nella roccia è permaloso ma geniale e dispensatore di buoni consigli: è lui che insegna a Semola a scrivere, leggere e volare. Cosa dire poi dei racconti di J. K. Rowling in cui questi uccelli sono compagni di maghi e streghe e i postini della scuola di magia di Hogwarts? Proprio “Harry Potter e la pietra filosofale” aveva sparso il timore che il successo del film potesse lanciare la moda di tenere gufi e civette come animali domestici. Questi, chiariamo, sono spesso assimilati anche se, pur appartenendo alla stessa famiglia di Strigidi, sono due generi diversi; non a caso, quello della civetta (privo dei ciuffetti tipici dei gufi) si chiama Athene, dal nome della protettrice degli antichi greci. Ed è proprio qui che va ricercata l’origine del simbolo della saggezza che pullula su vetrine e bancarelle.

UN VOLO CHE ATTRAVERSA NOTTETEMPO I MILLENNI. Siamo nella seconda metà del VI secolo a.C.: a reggere le sorti di Atene è Pisistrato, un parente di Solone (uno dei leggendari sette sapienti), che regala alla polis un periodo di stabilità. Il tiranno infatti è sia conciliatore nei confronti degli avversari politici, sia sensibile verso i meno abbienti: concede prestiti agli agricoltori più poveri e, per sottrarli al potere delle aristocrazie locali, affida a funzionari itineranti il compito di amministrare la giustizia nelle campagne. È poi attento in ambito culturale: Onomacrito realizza in questo periodo la prima edizione dei poemi omerici ed è a partire dal suo governo che Atena e Dioniso diventano i patroni della polis e le feste che ne celebrano i culti un momento importante della vita cittadina. Ma a rinsaldare ulteriormente il legame civico è una riforma economica: la coniazione delle prime dracme ateniesi. Quale immagine imprimere sulle monete? Non quella del suo fautore Pisistrato a quanto pare. Aveva un naso troppo grosso? La faccia da spartano? Fatto sta che ad essere scelto è un simbolo destinato a essere il vessillo della democrazia che di lì a poco avrebbe caratterizzato Atene. Quelle prime monete presentano da un lato l’effigie di Atena, la dea greca della sapienza, delle arti e della guerra, dall’altro l’animale a lei sacro, la civetta, la stessa che ritroviamo più di due millenni dopo nella moneta greca da un euro, in quanto simbolo delle radici della cultura occidentale. Perché proprio la civetta?

SPIRITI GUIDA. L’ottima vista resa possibile dai grandi occhi sgranati, quasi ipnotici, la capacità di ruotare il collo di 270° e l’udito formidabile rendono questo uccello un abile predatore. Solitario e dal volo silenzioso, è attivo soprattutto al crepuscolo, fra tramonto e alba. Occhi e becco sembrano tracciare sul piumaggio frontale la lettera greca φ (phi) simbolo di armonia, bellezza e amore per la conoscenza; che poi, è ciò che dà l’impressione di un paio di occhiali che danno al rapace un’aria saggia. È per questi motivi che è emblema di ogni dotto e scienza a partire dalla filosofia che trova i suoi natali proprio nell’antica Grecia. Come la civetta si muove quando gli altri dormono, la filosofia veglia e toglie il pigiama a scomode realtà, intuendo il sole sorgere ogni giorno. E così rappresenta anche la speranza di chi sa vedere oltre le difficoltà. La capacità di vedere nel buio cos’è se non chiaroveggenza? Come il volo notturno pensa il giorno trascorso, così la filosofia è pensiero che pensa il mondo, ma non per mera contemplazione come vuole la citazione hegeliana sulla nottola di Minerva (corrispettivo romano di Atena), bensì per trarre insegnamento da ciò che è stato e trasformare il domani. Non è questo l’augurio che dovrebbero sperare per sé i neolaureati?

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