«Prof, ha visto come abbiamo addobbato la classe? Le piace»? La richiesta di attenzione di Gabriella, la mia alunna di primo anno, mi strappa dalla superficialità con cui, all’avvicinarsi delle vacanze natalizie, svolgo la lezione senza accorgermi di ciò che c’è attorno a me.

Guardo. Il plexiglas che funge da schermo tra la cattedra e i banchi è stato adornato con dei fiocchetti rossi mentre un filo di piccole luci luminose corre per il perimetro della stanza passando sopra la LIM sino a raggiungere l’appendiabiti in fondo alla classe. Persino un alberello di natale era stato ignorato dalla mia distrazione cronica.

«Che bello!» esclamo sinceramente sorpreso dai segni della festa. Mi sembra, però, che manchi qualcosa. Mi chiedo infatti, se i miei giovani alunni abbiano anche una ragione per festeggiare. «Che facciamo? Il presepe lo mettiamo?» chiedo un po’ provocatoriamente. «Beh, prof» nota Chiara dal suo banco. «Magari a chi non è cristiano dà fastidio». Poiché non posso tirare in ballo le linee guida con cui la Commissione europea chiedeva di abrogare il troppo cristiano “buon Natale” a favore di un “buone feste” più politically correct, rivolgo a Matilde la mia curiosità: «Ma a te dà fastidio?».

«O mettiamo sul muro i simboli di tutte le religioni – mi spiega Antonio – o non ne mettiamo nessuno»

La risposta è articolata. «Allora professore, io non farei una manifestazione per oppormi al presepe o al crocifisso in classe, ma non si possono imporre agli altri le proprie convinzioni. Ad esempio i miei genitori mi hanno costretta a diventare cristiana». Il verbo usato alla fine della spiegazione mi colpisce e mi sorprende. «Perché dici “costretta”. Non penso ci siano stati dei lividi» ribatto cercando una nota che sdrammatizzi ciò che costituisce un’esagerazione.

«No –ammette – però io sono atea e loro non mi hanno chiesto se volessi essere battezzata». In qualità di genitore e di insegnante propongo di riflettere: «Sai Matilde, i genitori danno ai propri figli ciò che credono sia necessario per loro. Non si attende che i bambini decidano se andare a scuola o meno; non per calpestarne la libertà, ma per favorirla. Allo stesso modo chi decide di non battezzare i figli non rispetta la loro libertà più di chi li battezza, semplicemente non lo ritiene importante». Non credo che i miei alunni colgano il senso del ragionamento che mette insieme la volontà di innestare i figli nell’eternità di Dio attraverso il sacramento e il desiderio di fornire loro gli strumenti culturali per affrontare il mondo di oggi facendoli studiare. Me lo conferma Antonio il quale mi spiega pazientemente che «è come col crocifisso: o mettiamo sul muro tutti i simboli delle diverse religioni o nessuno». L’ideale di un muro senza identità e senza storia. Anche questa idea devo averle già sentita, così come non mi giunge nuova la notizia che per quei tre del presepe, oggi come duemila anni fa, proprio non c’è posto.

«E l’orso polare – chiedo a Silvana – significa qualcosa?». «No, prof non significa nulla»

Il muro. Già, il muro della classe, a ben guardare, non è rimasto affatto vuoto a simboleggiare una perfetta neutralità. Appeso alla parete, sopra le lucine che si accendono e spengono, fissato al chiodo appartenuto al crocifisso in plastica giallognola, scorgo un orso polare bianco con un nastrino rosso al collo. «Prof – mi dice Silvana – si chiama Giovanni. L’ho messo io». «Ma significa qualcosa?» chiedo imperterrito. «No, prof – risponde divertita – non significa nulla».

La campana è suonata da un po’. Li congedo in fretta. Il Natale qui non sembra essere atteso. Restano due pendolari. Giuseppe e Francesca. «È sempre la stessa storia –racconta mestamente il primo– sin dalle medie è polemica. E se dici qualcosa scoppia il casino». La faccia dispiaciuta e, persino, sofferta di questo ragazzino di 14 anni mi stupisce: «È difficile voler bene a Gesù oggi, non è vero Giuseppe» constato e chiedo ad un tempo.  Il suo “sì” espresso a occhi bassi, con un lieve cenno del capo, mi intenerisce. Cercavo il presepe tra gli addobbi o su un poster appeso al muro. L’ho trovato nel cuore del mio giovane alunno.

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