Un teatro, il sogno di tre bambini: Capuana e la magia del suo Schiaccianoci

«Marie a dire il vero non riusciva a staccarsi dal tavolo dei regali natalizi perché tra essi aveva scoperto qualcosa che nessuno aveva notato. Scostando i suoi ussari schierati davanti all’albero Fritz aveva infatti reso visibile un eccellente ometto, che se ne stava lì sul fondo, tranquillo e modesto, proprio come se stesse aspettando il suo momento. Sulla sua corporatura ci sarebbe stato molto da obiettare perché, a parte il fatto che le gambette piccoli e sottili non erano proporzionate al tronco piuttosto alto e robusto, anche la testa appariva eccessivamente grande». In quella sera dall’atmosfera natalizia, dalla penna ispirata dello scrittore E.T.A Hoffmann, un personaggio dalle bizzarre fattezze stava per fare il suo ingresso sulla scena letteraria. Forse nemmeno il suo autore, in quel momento, poteva immaginare ciò che avrebbe rappresentato. Più che un semplice personaggio di fantasia, infatti, lo Schiaccianoci è diventato un vero e proprio archetipo. Una declinazione dell’umano capace di affascinare un pubblico estremamente trasversale. Del resto, dal 1816, anno di pubblicazione della fiaba tedesca Schiaccianoci e il re dei topi, di strada il soldatino di legno ne ha fatta parecchia. Dumas padre ne trasse la propria versione, che poi fu alla base, nel 1892, del meraviglioso balletto composto da Čajkovskij. Non meno interessato è stato il mondo dell’animazione e del cinema, con le più recenti iterazioni firmate Disney. Una strada dai contorni fiabeschi, senza confini e senza tempo, lastricata dell’ardente desiderio di crescere attraverso l’immedesimazione nei sogni. Proprio come fa Marie, che nel finale visionario dell’opera, dove il piano della finzione si sovrappone a quello del reale, corona il proprio amore con colui che un tempo credeva essere una semplice marionetta. È questa finezza pedagogica ad aver destato tale ispirazione per oltre un secolo. Ed ad aver portato, in una variante del tutto peculiare, uno Schiaccianoci anche in Sicilia: quello a cui Luigi Capuana dedicò il titolo di una delle sue numerose raccolte di racconti per ragazzi, vale a dire Schiaccianoci, novelle e novelline del 1897. Un’interpretazione personale e decisamente isolana del grande classico, nel quale l’azione, dal palcoscenico della memoria, si sposta in quello altrettanto immaginifico del teatro.

Lo Schiaccianoci presentato dallo scrittore di Mineo, che pure trae il suo nome dalle fattezze fisiche smunte e goffamente rigide, muove infatti gran parte dei suoi passi dietro le quinte di una sala per gli spettacoli dei burattini che lui stesso si è messo in testa di costruire. Factotum della prestigiosa famiglia guidata dall’avvocato Marsili – che spesso ne sminuisce anche il senso di appartenenza – è affettuosamente legato ai tre figli Rino, Nando e Lelio. Sono proprio loro a chiedergli di realizzare la non facile impresa: «Non diciamo poi niente del bene che Schiaccianoci voleva ai bambini! Quando li conduceva a spasso, prendeva l’aria di un babbo piuttosto serio; li ammoniva, li minacciava, ma, all’ultimo, faceva quel che volevano essi, anche se l’avvocato avesse fatto qualche proibizione. Quel giorno arrivava da una lunga corsa, stanco e trafelato. Appena i bambini gli corsero incontro Schiaccianoci si asciugò il sudore in fretta in fretta, e sorridente e lieto di divertirsi coi suoi cari bambini (anche i bambini, a sentir lui, si sarebbero creduti suoi) rispose: — Eccomi qua! — E neppure Schiaccianoci ebbe più pace, come l’avvocato, come la signora, finché il teatrino non fu inchiodato, rizzato, pronto a esser dipinto». Ben presto, tuttavia, degli intoppi si frappongono al completamento del progetto. I bambini iniziano a crescere, gli impegni si moltiplicano, l’entusiasmo iniziale si affievolisce. E Schiaccianoci, che per l’occasione aveva persino ripescato una bozza di commedia buttata già chissà quando, si ritrova solo con le sue faticose mansioni. Almeno fino a quando i suoi amati ragazzi non iniziano ancora a sognare più in grande: un teatro enorme dove far esibire persone in carne ed ossa.

Quello che era apparso come un distacco irrimediabile, come la rottura di un patto di fiducia coltivato negli anni si rivela, invece, l’occasione perfetta per riesumare i ricordi felici. Per assistere alla maturazione definitiva di un seme piantato molti anni prima. Maestranze varie – da scenografi improvvisati a scialbi imbiancatori – si alternano alla presenza dell’avvocato Marsili. Nessuna di esse, però, riesce a guadagnare il favore della famiglia. Che, ancora una volta, affida la realizzazione del teatro a Schiaccianoci: «Ammucchiava sassi a portata di mano del muratore, intrideva la calce, squadrava una grossa pietra, regolava l’archipenzolo, per tirar su a piombo i lati della piattaforma del palcoscenico; segava legni, tavole, prendeva misure; e quando non aveva proprio niente da far con le mani, sbalordiva, abbagliava i bambini coi suoi progetti di decorazioni, giacché anche questa volta, come pel teatrino dei burattini, il pittore voleva esser lui». Il cerchio sta per chiudersi: ad essere messa in scena è proprio l’opera che l’uomo aveva inizialmente previsto per lo spettacolo dei burattini. Gli attori, non a caso, sono i suoi ragazzi. Il successo è strabordante. Tutti, finalmente, lodano Schiaccianoci e il suo ingegno. Mentre il suo pensiero, invece, va ancora una volta alle persone amate. «La rappresentazione andò a meraviglia. Fu un delirio di applausi! E questa volta Schiaccianoci, pur intendendo che il pubblico voleva un po’ divertirsi alle sue spalle, vedendosi sul palcoscenico fra i suoi cari bambini, quantunque avesse più che la metà della persona sprofondata nella buca, si diè a baciarli e abbracciarli, ridendo e piangendo. — Bravi! bravi! — E faceva certe mosse esagerate, quasi smorfie, per farli ridere di più. Mai, mai Schiaccianoci non era stato felice come in quel momento».

Perché è questo, in fondo, il senso dell’educazione: accompagnare, prendersi cura, saper pazientare. Non sempre, ci dice lo Schiaccianoci siciliano, il risultato dell’amore che abbiamo sparso sarà immediatamente visibile. Non sempre gli sforzi profusi per il sogno che stiamo inseguendo avranno un risvolto tangibile nel breve periodo. Ma è alle loro emozioni che bisogna rimanere aggrappato. Fino a quando non verrà il tempo di vederle tramutate in realtà.

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

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