La tecnologia è sempre più veloce e i suoi pericoli rischiano di sovrastarci. Ma non ci siamo forse dimenticati che essa fa da sempre parte dell’evoluzione e che, come tale, è un prodotto dell’ingegno umano che non possiamo bloccare? Si è discusso anche di questo al convegno “Dio, Macchine, Libertà” andato in scena a Catania, con un occhio al futuro, in cui più aumenteranno i mezzi per fare del male, più si misurerà la saggezza di chi li usa

Dio, Macchine e Libertà. Tre elementi distanti. Inconciliabili? Complementari. Un incontro tra ingegneria, matematica, giurisprudenza e persino teologia. Teologi che parlano di intelligenze artificiali (IA), ingegneri che trattano di etica. Ecco cosa è stato il convegno al Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Catania dell’8 e 9 appena trascorsi: un incontro. Un incontro in cui si è respirata un’aria di serena partecipazione, distesa apertura e fiduciosa condivisione.

La tecnologia sta cambiando il mondo, si dice, «ma questa non è la grande novità del XXI secolo», ricorda il professor Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana. Da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra ne ha fatto utilizzo attraverso il fuoco per scaldarsi, gli animali per cibarsi, costruendo tetti per proteggersi e vestiti per coprirsi. I robot sono un supporto alla vita e «se fino ad ora hanno aiutato l’uomo con strumenti esterni, adesso, grazie a un impianto non invasivo perché elettrico, prendono parte del corpo umano, aumentandone la mobilità. Un uomo che abbia perso la mobilità di un arto, sarà, così, in grado di riacquisirne la sensibilità. Il confine tra il sistema tecnologico e quello biologico diverrà sempre più sfocato, ma i risultati sono importanti», dichiara il professor Arena, docente al Dieei.

Le macchine rimpiazzeranno l’uomo, si crede, ma queste ne stanno accrescendo la libertà. E fare il male, con questa possibilità, è una nostra libertà. La libertà data da Dio con il libero arbitrio. «Siamo uguali nella possibilità di fare il male – asserisce il professor Amato, docente al Dipartimento di Giurisprudenza-. Seguendo Hobbes sembra infatti che non ci sia uomo che non possa uccidere: la capacità di far del male è più forte di quella di raggiungere il bene». Dunque se ci chiediamo dove potrà arrivare la tecnologia, a quali esiti tanto notevoli, quanto pericolosi, possa condurre, dovremmo prima avere il coraggio di chiederci che direzione ha preso l’uomo con la sua giustizia, con la sua etica, con la sua anima. I Robot sono un’invenzione umana. L’uomo li crea, l’uomo ne conferisce le finalità. Le IA sono tali perché riproducono il funzionamento del cervello, sì, ma non della sua volontà. «La volontà – continua Amato – non è equivalente all’intelligenza. Le IA non la possiedono, ed è necessario che ciò non cambi. È necessario che non si sottraggano al controllo umano, così non ci sovrasteranno». A chiarire meglio è il professor Allegra, docente al Dipartimento di Scienze Umane e Sociali all’Università per stranieri di Perugia, per il quale la tecnologia è un farmaco «nel senso etimologico del suo termine: tanto di medicinale curativo quanto di veleno distruttivo». Il giusto, buono, utile uso starebbe allora nell’antico principio latino per il quale in medio stat virtus: «La dose – gli fa eco Benanti – è fondamentale. E la dose è l’etica: il limite di velocità da porre alla superficialità e pericolosità dell’utilizzo delle tecnologie». A preoccuparci non dovrebbe essere la macchina, ma l’uomo. L’uso che delle tecnologie quest’ultimo farà: sarà eticamente corretto? Questa domanda risiede nella sua anima, ma non si può bloccare la tecnologia, la sua evoluzione, per mancanza di fiducia nell’uomo. Perché se si ha da fare il male, lo si farà con qualunque mezzo possibile. Le conseguenze con il suo progresso potranno essere di maggior impatto e pericolosità… ma si dovrebbe avere fiducia.

Ogni individuo dovrebbe avere fiducia in sé stesso: così sarà migliore e non avrà nulla da temere!

* Stu­den­tes­sa del cor­so di Sto­ria e Tec­ni­ca del gior­na­li­smo del­l’U­ni­ver­si­tà de­gli Stu­di di Ca­ta­nia te­nu­to dal prof. Giu­sep­pe Di Fa­zio

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