Fra tutte le isole siciliane, ho una particolare predilezione per Ustica, forse perché è inspiegabilmente meno famosa delle altre o forse perché il suo nome è ingiustamente legato a una strage che con Ustica non ha niente da spartire o forse perché Ustica “balla da sola”, mentre le altre lo fanno chi in coppia (Lampedusa e Linosa), chi in gruppo (Egadi ed Eolie). Ma poi penso che il motivo va trovato dentro al tipico scrigno a forma di isola (bel mare e pesce fresco), che nasconde storie e aneddoti di una varietà e in una quantità davvero sorprendenti per un’isola così piccola.

A pochi metri dalla banchina, ancora sull’aliscafo, si è accolti da case color pastello e sprazzi di nero (lava) e verde (foglia), il tutto incorniciato nell’azzuro del mare (in basso) e del cielo (in alto). Sull’isola ci sono due torri per l’avvistamento di pirati saraceni, e a questo, in Sicilia, ci siamo abituati. Ma a storie di coloni e territori da conquistare come nel far west americano, dove ad andare avanti erano i più abili e disperati,  disposti a tutto pur di possedere un fazzoletto di terra e la possibilità di autosostenersi, no. E a Ustica ci fu una lotta fra coloni e pirati barbareschi durante il ‘700. Diverse volte il Regno di Sicilia provò a far approdare stabilmente nuovi abitanti sull’isola e ogni volta i pirati arrivavano, uccidevano e portavano via i prigionieri. Fino a quando un gruppo di esperti di vita isolana, i liparoti, arrivarono e vi si installarono (non a caso Ustica e le Eolie condividono il culto per San Bartolomeo).

Più avanti nel tempo, sull’isola soggiornarono forzatamente anche confinati di ogni tipo: delinquenti comuni, mafiosi e anche prigionieri politici come Gramsci, i fratelli Rosselli, il caricaturista Giuseppe Scalarini. A ricordare quest’ultimi ci sono le targhe affisse sulle dimore che li ospitarono che segnalano tutt’oggi il loro passaggio a Ustica: tra i più rinomati intellettuali italiani che per qualche tempo animarono la vita culturale di un’isola con un tasso altissimo di analfabetismo. A ricordare invece i confinati libici, frutto della stagione coloniale italiana, c’è il cimitero, ovvero una terrazza sul mare divisa in due: da una parte le tombe cattoliche, dall’altra quelle musulmane dei libici morti sull’isola. E sulla parete del camposanto c’è una feritoia a forma di finestra da cui si vedono passare una barchetta, uno yacht, il traghetto “Antonello da Messina” o un carico di sommozzatori.

Sì, perché Ustica è anche il paradiso degli aficionados di Scuba diving che vengono da tutto il mondo per immergersi negli abissi della prima riserva marina protetta d’Italia, a cui fanno da cornice le grotte marine dell’isola: una azzurra, una verde, a seconda del colore assunto dall’acqua in un momento preciso del giorno per effetto dei raggi solari.

L’isola non è preda del turismo di massa e i servizi sono buoni, dal noleggio dello scooter al tour in mare  passando per l’alloggio. La gente è cordiale e si ha il tempo di parlare, di chiedere informazioni, di scambiarsi storie ed esperienze; l’unica spiaggia di sabbia dell’isola è frequentata il giusto e c’è molto rispetto. Tra una mangiata di pesce fresco e un’altra (difficile mangiare male nei ristoranti nell’isola) è possibile che durante una visita alla cantina Hibiscus (l’unica di Ustica e la sola fuori dalla provincia di Trapani a poter produrre vino da zibibbo IGT Terre Siciliane) ci si imbatta nel fondatore Nicola Longo: la degustazione diventa una piacevole chiacchierata con annessa visita al piccolo ma fornitissimo museo contadino e al vigneto che, protetto dai ficodindia, scoscende in maniera ordinata verso il mare.

E poi la scoperta più singolare: Ustica – così piccola e isolata – fu per almeno tre decenni una della capitali italiane del baseball. Di questo incredibile sogno rimangono tanti ricordi, filmati, interviste, documentari e soprattutto un campo molto grande a forma di diamante, lì nella parte alta dell’isola, accanto a un antico mulino di colore bianco. Fra l’erba alta e una sensazione irrimediabile di abbandono, ho visto dal vivo il mio primo tabellone segnapunti dello sport più iconico d’America: quello di Hemingway del vecchio e il mare o di Joe Di Maggio da Isola delle femmine che sposa Marilyn Monroe, la migliore amica dei diamanti, per l’appunto.

Spesso ho pensato a quale soprannome avrei potuto dare all’isola in un articolo che avrei scritto, e allora, e giustificatamente, penso di aver trovato il nome perfetto per Ustica: il Diamante. Del Tirreno o del Mediterraneo, lo decida qualcun altro.

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