Basta un colpo d’occhio per orientarsi: la scena è scarna e distribuita su due piani. Una scrivania provvista di sedia e due altre poltroncine sono tutto quello che richiama il XVII secolo inglese agli occhi dello spettatore dell’appuntamento conclusivo dell’Amenanos Festival. Per il resto, sono i costumi, le voci, i gesti e la mirabile storia dei quattro personaggi coinvolti sul palco ad animare lo spazio circostante

William and Elizabeth è uno di quegli spettacoli da cui ci si potrebbe aspettare di tutto. In primis perché ha un titolo generico, che lascia molto spazio alla libera interpretazione e pre-immaginazione; in secundis perché era stato presentato in maniera altrettanto vaga come la rappresentazione del rapporto fra Shakespeare ed Elisabetta I, con un occhio di riguardo in particolare sulla figura di quest’ultima. Potrebbe dunque abbracciare temi e situazioni molto vasti, così variegati da non riuscire nemmeno a essere concepibili, almeno finché non ci si siede sotto il nuvoloso cielo di una domenica di maggio e si studia per bene la scena costruita sopra lo sciabordare dell’Amenano.

Basta un colpo d’occhio per orientarsi: la scena è scarna e distribuita su due piani, di cui uno più basso e più l’ampio, l’alto più alto e più piccolo. Una scrivania provvista di sedia e due altre poltroncine sono tutto quello che richiama il XVII secolo inglese agli occhi dello spettatore. Per il resto, sono i costumi, le voci, i gesti e la mirabile storia dei quattro personaggi coinvolti sul palco ad animare lo spazio circostante, a proiettare i presenti indietro nel tempo e a creare i presupposti per un’interessante incontro notturno dentro il Globe Theatre fra il celebre drammaturgo inglese, la sovrana d’Inghilterra e due attori della compagnia – uno dei quali è lo stesso finanziatore dello scrittore, mentre l’altro è in realtà una donna.

Melania Giglio in una foto di scena
Una foto di scena

Mentre i due provano una scena tratta da Sogno di una notte di mezza estate, che vede Oberon in un acceso conflitto verbale con Titania, la loro performance sotto gli occhi attenti di Shakespeare è interrotta dall’arrivo di una figura velata e silenziosa, che li raggiunge sul palco nonostante le loro rimostranze e che poco dopo rivela la propria identità rimettendo i tre al loro posto, considerando che si tratta della regina in persona. Il motivo del suo sopralluogo rimane oscuro, per quanto la sua energia dirompente coinvolga in un dialogo collettivo sempre più fitto i coprotagonisti, portandoli a confrontarsi sul peso del potere, sull’azione del tempo ai danni delle vite umane, sull’importanza di condividere la vita con una persona cara al fianco, sulla devozione per il popolo, sull’importanza del teatro in quanto edificio per riabilitazione delle arti drammatiche, e sul ruolo della donna a ogni livello della scala sociale.

I loro imprevedibili scambi di battute, che oscillano con grazia ammirevole fra l’epico e il comico, fra il tragico e lo scurrile, fra l’alta recitazione e le risate più scomposte, riempiono così l’ora del tramonto nel centro storico di Catania di riflessioni contraddittorie e senza via d’uscita, che stuzzicano la curiosità e i limiti della mente umana suscitando contemporaneamente tenerezza e ribrezzo, compassione e sconcerto. Oltretutto, l’interpretazione sorprendente e trascinante di Melania Giglio (Elisabetta I), Alfonso Veneroso (mastro Shakespeare), Francesca Maria (Rosalind) e Sebastian Gimelli Morosini (Ned) è inframmezzata peraltro da alcuni momenti musicali in lingua inglese, in cui ciascuno degli attori dimostra doti canore di spessore, oppure si cimenta in celebri passi di tragedie del massimo scrittore britannico, quali l’Enrico V e l’Amleto.

L’armonia degli opposti creata dalla regia di Melania Giglio e dalla produzione romana del Politeama s.r.l. Globe Theatre di Gigi Proietti rischia ben due volte di infrangersi contro gli scogli di uno spiacevole problema tecnico, che lascia in entrambi i casi il palco senza luce e il microfono della sovrana senza amplificazione. A dispetto dell’interruzione e dell’attesa, nel primo caso il pubblico supporta il cast e i tecnici con calore, mentre nel secondo è la stessa Giglio a prendere in mano le redini della situazione, esclamando con grinta: «Proseguiamo a secco», tornando immediatamente nei panni del proprio personaggio e continuando a incantare la platea con la sola forza delle sue corde vocali.

Il teatro romano di Catania (foto Antonio Parrinello)
Il teatro romano di Catania (foto Antonio Parrinello)

Da lodare, pertanto, non solo l’idea di approfondire un unico episodio di 70 minuti a metà fra la verosimiglianza e l’invenzione per risalire alle più alte contraddizioni dell’animo umano, che ha consentito una rivisitazione di argomenti universali e al tempo stesso proposti con originalità da interpreti di tutto rispetto, ma anche la prontezza di riflessi grazie a cui la compagnia è stata in grado di imporsi sulle imperfezioni dei nostri giorni per raccontare con trasporto e decisione quelle di un’altra terra e di un altro momento storico, anche quando l’elettricità e il calar della sera hanno dato per un attimo l’impressione di volere tramare contro di loro.

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