L’illustratore canadese, che da anni collabora con Marvel e DC Comics, ha parlato del rapporto tra il fumetto statunitense e quello europeo e di come gli americani dovrebbero fare meno affidamento sui supereroi, aprendosi a nuovi orizzonti

Wonder Woman, Batman, Superman, The Avengers. Sono solo alcuni degli albi su cui ha lavorato il canadese Yanick Paquette, tra i maggiori ospiti di Etna Comics 2018. I suoi personaggi rappresentano il fumetto americano nell’immaginario collettivo. Ma anche in Europa si creano storie e personaggi non meno apprezzati. Si chiamano entrambi fumetti, però temi, stile e toni sono spesso diversissimi. Le differenze sono davvero così nette come sembra? Agli occhi di un veterano del fumetto i contorni sono assai più sfumati. Paquette ci spiega infatti come il mondo dei comics, su entrambe le sponde dell’Atlantico, sia cambiato negli ultimi vent’anni: nuovi modi di raccontare storie per un nuovo pubblico ormai globale, grazie alla rete.

Dal punto di vista dell’approccio lavorativo, in che modo i fumetti europei sono diversi da quelli americani?
«Sono cresciuto a Montreal e ho sempre avuto maggiore familiarità con i fumetti europei rispetto a quelli americani. In particolare con produzioni francesi e belghe, come Tin Tin, che comportano una produzione di al massimo 40 pagine l’anno. Credevo che questo fosse il ritmo normale, ma quando ho iniziato a lavorare con Marvel e DC Comics mi è stato chiesto di pubblicare mensilmente. 22 pagine in trenta giorni sono un’enormità: il fumetto diventa quasi una soap opera per la tv e inevitabilmente si pensa più alla produttività che all’aspetto letterario. Per mantenere questi ritmi ho dovuto cercare delle scorciatoie, fare dei sacrifici in certi aspetti di come racconto una storia. Dagli anni 90, però, la scena fumettistica americana si sta, in genere, avvicinando a quella europea; stessa cosa per gli scrittori: si lavora di più in gruppo sperando di creare storie che sopravvivano alla prova del tempo».

Ma tematicamente come differiscono? E tu, come creatore di personaggi così iconici, credi che un pubblico europeo li comprenda in modo diverso?
«Negli USA fumetti e supereroi hanno monopolizzato la scena e sinceramente questa cosa mi ha un po’ infastidito. Se in passato generi come il western o il fumetto d’amore erano presenti, a un certo punto tutto questo è totalmente scomparso ad appannaggio dei soli supereroi. Già negli anni ’90, mentre usciva un grande film come Titanic, mi chiedevo per quale motivo noi fumettisti continuassimo a disegnare solo supereroi. Solo di recente il mercato americano ha iniziato ad accorgersi di poter espandere i propri orizzonti e il pubblico lo supporta.
Per quanto riguarda gli stili, quando ho iniziato c’erano lo stile europeo, quello americano e c’erano i manga, ma adesso c’è ogni sorta di contaminazione: americani che creano manga ed europei che imitano i comics americani. C’è uno spostamento continuo e forse a esserne parzialmente responsabile è Internet».

Credi che il web abbia avuto un ruolo anche nel trasformare il pubblico? Renderlo più omogeneo?
«Sì, è una cosa bellissima: una rete di nerd e geek mondiale. Due settimane fa ero in Sud Africa, a Città del Capo, e in dicembre a Giacarta. Sono posti diversissimi ma i fan si assomigliano ovunque tu vada. Magari nei loro luoghi d’origine sono gli unici a conoscere gli X-Men, ma in occasione dei festival si ritrovano, condividono la stessa cultura. È una ventata d’aria fresca: essere un nerd è una cosa che li fa sentire soli, ma in realtà non lo sono affatto».

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