Nella sua monumentalità e nel suo peculiare modo di concepire le pena come momento di redenzione, la struttura, definita “panottica” per la presenza di celle lungo tutto il perimetro dotate di aperture che garantivano al custode un controllo costante, pur trovandosi a poca distanza dal mercato cittadino, versa oggi in condizioni non degne della sua bellezza e della sua storia

A due passi dall’affollato Mercato rionale di Ortigia sorge un’immensa struttura architettonica abbandonata: si tratta del carcere borbonico di Siracusa, inagibile dal terremoto di Santa Lucia del 1990.

DALL’INTERNO ALL’ESTERNO. Progettato dall’ingegnere Luigi Spagna, il carcere si innalza su due livelli oltre al piano terra per un’altezza totale di 25 metri e la pianta è un rettangolo con lati di 40×45 metri. A questa conformazione esterna non corrisponde però quella del cortile interno: esso infatti ha una forma poligonale (un esagono irregolare per l’esattezza) con una torre di guardia al centro. Grazie a tale inaspettata struttura quasi circolare il guardiano poteva sempre controllare i detenuti senza far notare loro di essere osservati.

UN CARCERE PANOTTICO. L’edificio, costruito dall’interno verso l’esterno, si richiama al modello del Panopticonideato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham dal 1787. Il nome deriva dal mostro della mitologia greca Argo Panoptes, cioè “tutto occhi”, il famoso gigante dotato di un centinaio di occhi. La configurazione architettonica dello spazio panottico prevedeva che le celle, disposte circolarmente lungo il perimetro interno e su più piani, avessero un’apertura verso la torretta centrale consentendo al guardiano un controllo costante e impedendo in ogni momento ai reclusi di comunicare tra loro, non sapendo se fossero osservati o meno. Questa particolare conformazione poligonale permetteva alle guardie di controllare la situazione interna in un sol colpo d’occhio e di non lasciar trasparire nulla all’esterno, che ricalcava la tradizionale forma rettangolare. Non a caso nella facciata principale dell’edificio fu scolpito un occhio dentro una piramide, noto come “occhio della provvidenza” o “che tutto vede”.

LA PENA COME REDENZIONE. Il carcere, realizzato tra il 1849 e il 1854, fu uno dei più moderni ed evoluti d’Europa e mostra quanto la Siracusa borbonica fosse all’avanguardia. Al suo interno infatti i detenuti non erano inattivi, ma venivano impiegati per lavori commissionati dall’esterno e la pena assumeva così un valore redentore e una certa utilità, secondo le nuove ideologie diffuse da trattati come “Dei delitti e delle pene” di Beccaria. I prigionieri dovevano essere rieducati e curati, qualora fosse stato necessario: non a caso l’ultimo piano del carcere di Ortigia fu adibito a sifilicomio, luogo in cui le sifilitiche ricevevano cure ed erano trattate al pari delle altre detenute.

UN LUOGO DA RIVALUTARE. Oggi a casa cu n’occhiu (“la casa con un occhio”), come la prigione venne definita dai Siracusani, versa in pessime condizioni ed è sconosciuta ai più. La sua realizzazione richiese l’abbattimento di molte abitazioni ed ebbe un costo elevato, pertanto la sua rivalutazione sarebbe auspicabile: l’edificio infatti si trova in pieno centro, in un luogo vivo e ricco di turisti attratti da odori, colori e sapori del vicino mercato.

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