Come ai giorni nostri, il Carnevale del 1900, a Carlentini, era una festa che coinvolgeva tutti. Dai politici al popolino, abbracciava l’intera popolazione e la trascinava in un clima di festa fatto di maschere, colori e sbrilluccichii. Era un evento gioioso, in cui l’allegrezza generale era data dagli eventi cittadini e dalle persone che vi prendevano parte. Tra questi c’era Sebastiano Manzitto, un uomo dalla personalità peculiare che aveva trovato un modo tutto suo per animare ulteriormente il giorno di martedì grasso.

ZU IANU MANZITTU. Nato il 30 dicembre 1871, Sebastiano Manzitto era conosciuto da tutti con l’appellativo “il Poeta”. Era, in realtà, un cantastorie dialettale carlentinese, che traeva spunto da fatti e avvenimenti di vita quotidiana per comporre storie satiriche rivolte, principalmente, a uomini politici e di cultura, ma anche a donne e artigiani, con parole di riguardo per il ceto inferiore – di cui lui stesso faceva parte. Si spense il 17 giugno 1961, ma ancora oggi la sua storia viene ricordata e tramandata.

COLLETTO ALTO E SALSICCE AL COLLO. Ai classici travestimenti di Carnevale, u zu Ianu Manzittu preferiva qualcosa di più creativo. Il suo costume univa originalità e allegoria, creando un mix tanto assurdo quanto magnetico, che catturava al primo sguardo l’attenzione dei passanti. Lui, che anche in altri periodi dell’anno aveva l’abitudine di passeggiare per il centro cittadino con abiti particolari, nel giorno di martedì grasso indossava un colletto alto, un cappello da Barbanera, una cravatta e una collana di salsicce. Una combinazione che puntava a evocare il riso dei suoi concittadini, che al mood buffonesco dei suoi elementi di stile accostava quello del personaggio che li aveva indosso, preannunciandone la natura.

zu Ianu Manzittu

FILASTROCCHE E PETTEGOLEZZI IN RIMA BACIATA.  L’attrattiva di zu Ianu Manzittu non si fermava di certo al costume. Quest’uomo saliva infatti a bordo di un carretto, portando con sé un pupo di pezza, e si faceva condurre attraverso le principali strade cittadine, seguito da un gruppo di musicanti. La vista della sua cravatta svolazzante, sormontata da un sorriso beffardo, per alcuni annunciava risate e divertimento a ritmo di rime baciate, per altri, invece, un momento di imbarazzo: chi si era macchiato di qualche malefatta o durante i mesi precedenti aveva avuto un atteggiamento poco onorevole, sapeva già che il proprio vaso di Pandora sarebbe stato presto scoperchiato.

Le fermate avvenivano nei croccichi di Carlentini, ovvero nei punti in cui due o più strade si incontravano. Qui, zu Ianu Manzittu sciorinava filastrocche e cantilene in metrica, celebrando – e contribuendo a tramandare ai più piccoli – preziosi tesori della cultura popolare. La sua ars oratoria, però, andava oltre, spingendosi tra i più segreti meandri della vita e degli avvenimenti cittadini. Recitava in rima, rivolgendosi in modo simbolico al suo pupo di pezza e passando in rassegna quanto accaduto a Carlentini nel corso dell’anno: dalla politica agli avvenimenti scandalistici, senza mai fare nomi ma lasciando comprendere chiaramente a chi e a cosa si riferisse.

«Largu faciti tutti, amici attornu
parru lentamenti e nun vi affennu
malu assai si fici lu munnu
sintiti la puisia ca nun v’incannu
amici ca vi disturbo ogni anno
aggenti ca scutati misi attornu
vi ricu la virità e nun v’incannu
mi pirdunati si qualcuno affennu».

Il suo – secondo alcune testimonianze dell’epoca – era un sapiente “dire e non dire”, un infuso di ironia garbata ma pungente attraverso il quale metteva alla gogna avidità, viltà o tirchieria. Al centro dei suoi racconti vi erano spesso avvenimenti e personaggi legati alla politica, protagonisti di versi satirici che puntavano a evidenziare quanto non funzionava in comune, alternando alle allegorie accuse dirette. Dall’“assissuri ca carriava fumeri” a “li cunzighieri ca fanu certi mascarati”, spesso i suoi racconti non lasciavano spazio all’immaginazione, ma venivano enunciati sempre in un clima di leggerezza e scherno:

«Scusate amici chiddu ca aiu rittu
è carnivali nunni tiniti luttu
ora nchilu di sasizza mi l’accattu
ca me mogghi ll’avi di pitittu».

Alla fine riceveva applausi e il perdono di tutti. Come ai giorni nostri, si avvaleva del motto “Per Carnevale ogni scherzo vale”.

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