Il progetto dell’Istituto Europeo di Design, sotto la guida di Marika Aakesson, coinvolge gli studenti nella realizzazione di accessori pensati per chi soffre di particolari problematiche. Il tema di quest’anno è lo spettro autistico

[dropcap]T[/dropcap]appi per il naso che sembrano moderni piercing, anelli che combattono lo stress, maglie che massaggiano. Non si parla di oggetti di design stravaganti ma di veri e propri oggetti terapeutici fondamentali nell’aiutare quotidianamente e senza dare nell’occhio le persone con neurodiversità. A come Atipico! è un progetto portato avanti da Marika Aakesson e dai suoi studenti del corso triennale di Product Design allo IED di Roma, che mette al centro le persone con la sindrome di Asperger partendo da uno studio attento, portato avanti con esperti e famigliari di persone affette. Durante un incontro tenutosi in occasione del Taomoda 2019, Marika Aakesson ci ha spiegato di più sul progetto e sul suo modo di vivere il design.

PROBLEMI E DESIDERI. Può il design aiutarci intervenendo attivamente nelle nostre vite per renderle migliori? La risposta è sì, specie se lo si affronta con lo spirito che contraddistingue Marika Aakesson, coordinatrice del corso triennale di Product design allo IED di Roma e docente di Design for Social Impact. Insieme ai suoi studenti ha indagato le problematiche vissute dalle persone nello spettro autistico, come la sensibilità agli odori, ai suoni, al tatto e agli stati d’ansia, riflettendo inoltre su metodi per l’apprendimento dei comportamenti sociali e delle attività quotidiane. «La progettazione parte dal dialogo con le persone   ̶   spiega Marika Aakesson. Nel caso dei progetti per il sociale, come quello portato avanti quest’anno, “A come Atipico!”, dedicato a chi ha la sindrome di Asperger, abbiamo parlato con familiari di persone autistiche, associazioni, medici e tutti coloro che sono in contatto con chi poi avrebbe dovuto usare il prodotto. Abbiamo ascoltato tutti i problemi, ma anche i desideri e le voglie. Ad esempio per quanto riguarda IN|U, il “finto piercing” disegnato da Agnese Roviti, l’esigenza è quella di escludere gli odori e il desiderio è quello di essere come tutti gli altri; così abbiamo pensato che, soprattutto per un teenager, il desiderio poteva essere quello di mettere un piercing nel naso. Questo è un piccolo esempio di quello che cerchiamo di fare in tutte le nostre progettazioni».

OGGETTI A MISURA D’UOMO. Come dimostrano i 12 progetti di design pensati per A come Atipico!, porre attenzione su determinate problematiche sociali può produrre oggetti di design che oltre a essere belli e versatili permettono a chi li usa di averne un reale beneficio in situazioni di malessere. Ma questo non è il primo progetto portato avanti in questa direzione: «Nei corsi di Product design allo IED di Roma di anno in anno scegliamo argomenti legati a problemi attuali, vicini agli studenti  ̶  prosegue la Aakesson. Un anno abbiamo lavorato sul diabete, in continua crescita anche tra i giovani, realizzando progetti su teenager e studenti universitari. Anche in questo caso ci siamo mossi sul campo, consultando direttamente dei ragazzi che hanno un’associazione per giovani col diabete. Uno degli oggetti realizzati era una borsa fatta a posta per poter nascondere tutti gli strumenti per misurare la glicemia e fare l’insulina: la borsa aveva due facce e dei servizi che collegavano la lettura della glicemia a uno smartphone, in modo da poter chiamare aiuto in caso di necessità. Abbiamo avuto un riscontro estremamente positivo da parte dei giovani anche tramite l’uso dei social network e questo per noi è motivo di enorme soddisfazione».

Il “Finto piercing” di Agnese Roviti

UN DESIGN ATTIVISTA. La ricerca e il lavoro portato avanti da Marika e dai suoi studenti pone l’attenzione su esigenze ed emergenze contemporanee, facendo sì che alcune problematiche vengano fuori. Così il design si fa sociale: «Adottiamo la metodologia attuata da molti designer, mettendo al centro l’utente e il problema. Il nostro è un design attivista, che vuole fare la differenza». Caso emblematico è “Leggere l’emozione” di Giulia Verticchio, oggetto che si indossa come un casco e che permette a chi non riesce a parlare di comunicare le sue emozioni: «Questo è stato un progetto realizzato in collaborazione con una startup che si occupa di neuromarketing e che si chiama Brainsigns. La studentessa che ha realizzato il progetto di tesi ha sfruttato la tecnologia per riuscire a far “parlare” una persona che ha perso la capacità di farlo, ma che comunque pensa esattamente come prima. Si tratta di un progetto molto poetico soprattutto perché riesce a rendere un elemento estremamente tecnologico intimo e poetico e questo non è affatto facile».

 

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