«Non si resiste al richiamo del jazz. Credo sia come quello di Dio per i sacerdoti. È una cosa tale per cui qualsiasi ragionamento, anche economico, perde di valore. I miei genitori, che erano entrambi dentisti, guardavano con uno strano sospetto questa mia passione, anche perché stavo studiando medicina all’Università di Bologna, ma io avevo già capito che la mia strada sarebbe stata un’altra. Quando poi incontrai Chet Baker ed ebbi la fortuna di suonare con lui fu per me una sorta di consacrazione». In occasione di un recente premio ricevuto dalla Federazione Italiana del Jazz, Amedeo Tommasi raccontava così la storia della sua vita. Il pianista triestino, classe 1935, è scomparso ieri all’età di 85 anni. La sua era una passione innata per i tasti di ebano e avorio e per le armonie seducenti del grande jazz, che seppe divulgare in Italia tra i primi, suonando con alcuni dei più grandi musicisti di tutti i tempi.

Nel ’56, con Maurizio Maiorana al contrabbasso e Mario Camassa alla batteria

GLI INIZI E LA GUERRA. Nato a Trieste nel 1935, Tommasi iniziò lo studio del pianoforte già all’età di circa 6 anni, salvo poi essere interrotto dall’incedere della guerra. «Da piccolo ero incantato dal suono del pianoforte. Ne avevo uno nella mia stanzetta e mio padre che suonava il violino, chiamava spesso un suo amico per accompagnarlo. Scoprii così la musica classica, le sonate di Brahms e Corelli. Mia madre mi convinse a prendere delle lezioni di piano e così studiai per un paio d’anni. Poi ci fu la guerra e la mia casa fu bombardata. Con la mia famiglia fuggimmo in Friuli. Tornammo a Trieste nel 1947, ed era cambiato tutto. C’erano gli americani con una loro radio. Le trasmissioni avevano come sigla “Take the A train” di Duke Ellington. Fu così che scoprii il jazz. Da Louis Armstrong a Benny Goodman, quella musica mi affascinava». La folgorazione, tuttavia, avvenne con l’ascolto di George Shearing. «Mi fece letteralmente impazzire perché non capivo come facesse a suonare in quel modo. Del resto, non esistevano ancora metodi didattici per impararlo. Così mi misi al pianoforte e tentai a orecchio, finché non riuscii a suonare in quella maniera». Compiuti diciotto anni, il giovane Tommasi si trasferì a Bologna per studiare medicina, pur senza trascurare la musica. Risale a quei tempi il suo primo trio, con il quale si esibiva nei locali della città. «Conobbi Alberto Alberti, che fece di Bologna la città più importante d’Italia per il jazz e divenne poi il manager di grandissimi come Davis e Coltraine. Gli feci sentire come suonavo Shearing e mi rispose: questa è robetta, ti porto io dei dischi da ascoltare. Mi diede una quarantina di incisioni di Bud Powell, Charlie Parker, Miles Davis. Fu che cominciò davvero il mio sogno».

L’INCONTRO CON BAKER. Nel 1959, il trio di Amedeo Tommasi (con Maurizio Maiorana al contrabbasso e Mario Camassa alla batteria) partecipò a un concorso indetto dalla Rai, classificandosi al terzo posto, e successivamente il pianista ebbe modo di suonare con alcuni dei più importanti musicisti italiani. L’incontro che più cambiò la vita di Tommasi fu tuttavia quello con una delle icone del jazz, il leggendario trombettista Chet Baker. «Proposi ad alcuni amici impresari di fargli fare una tournée in Italia. Io ero il suo accompagnatore, ma quando lui scoprì che conoscevo così bene il suo repertorio mi disse “Tu suonare con me”. Ci esibimmo insieme alla bussola di Viareggio». In seguito, Baker, che faceva ampio uso di eroina, andò incontro a molti problemi legali, tra i quali una detenzione di oltre un anno nel carcere di Lucca. «Dopo l’arresto non si fece più nulla, ma in seguito, quanto Chet venne rilasciato fu messo sotto contratto dalla RCA e volle me, Giovanni Tommaso, Franco Mondini, René Thomas, e Bobby Jaspar per registrare un disco intitolato “Chet is back”». Si tratta di uno degli album entrati negli annali del jazz mondiale, «nonostante la mia presenza», ironizzava spesso Tommasi.

La trasmissione Rai del 20 luglio 1969, il trio di Amedeo Tommasi suona in occasione dell’allunaggio

LA MUSICA PER IL CINEMA. Successivamente Amedeo Tommasi si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea in Economia e Commercio e iniziò un lavoro come arrangiatore per la RCA italiana. «A un certo punto Baker aveva l’esigenza di registrare quattro pezzi arrangiati per orchestra, e mi chiese chi fosse il miglior arrangiatore in Italia. Gli risposi che era Ennio Morricone, ma che non lo conoscevo personalmente. Fu chiamato e così ebbi la grande fortuna di poter suonare contemporaneamente con due giganti della musica. Con Ennio iniziammo a giocare a scacchi e diventammo amici. Per lui suonavo il sintetizzatore e presi parte ai suoi lavori». La collaborazione con il grande compositore, durata oltre 25 anni, trovò il suo apice intorno al 1998, quando Amedeo Tommasi compose per il film “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore due brani. Il famoso “Magic Waltz” e “Danny’s Blues”. Nella pellicola il pianista triestino appare anche in un cameo, indossando i panni di un accordatore di pianoforte. Il rapporto con il cinema, tuttavia, fu reso speciale anche grazie alla longeva collaborazione con Pupi Avati, conosciuto negli anni ’60 a Bologna. Tommasi ha infatti realizzato le colonne sonore di una decina di film del regista tra i quali “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone”, “Tutti defunti… tranne i morti” e il più celebre “La casa delle finestre che ridono”. Pochi anni fa il duo Avati-Tommasi si era ricostituto in occasione del film “Il signor diavolo”, e la collaborazione avrebbe dovuto proseguire per i prossimi lavori del regista bolognese, come annunciato dallo stesso pianista su Facebook.

Un frame dal film “La Leggenda del pianista sull’oceano”, in cui Tommasi appare nei panni di un accordatore

UNA VITA PER IL JAZZ. Negli ultimi anni Amedeo Tommasi si era dedicato interamente all’insegnamento, riprendendo l’attività di docenza al St Louis di Roma (già iniziata verso la fine degli anni ’70 e poi interrotta per una quindicina d’anni), scrivendo libri per pianisti in cui proponeva i suoi arrangiamenti alla portata di tutti, e seguendo con affetto e cura i suoi allievi. Proprio pochi giorni fa, sulla bacheca del suo profilo Facebook condivideva un ricordo. «Ieri sera ho suonato 4 brani con i miei allievi: è stata un’esperienza piena di gioia, in un ambiente pieno di gioia. Ho visto il loro sorriso, e la soddisfazione di avere fatto la loro musica con serietà e cuore. Grazie ragazzi». Sul social network la sua è stata una presenza garbata, sempre disponibile per discutere, con professionisti ma anche amatori, di armonia e musica, per regalare un consiglio, per ricordarci come rispetto alla guerra – quella che aveva vissuto da bambino – la reclusione in casa fosse tutto sommato un impegno sostenibile. «In questi giorni abbiamo l’occasione di stare in casa. Chi è un musicista e non approfitta di questo momento per studiare, è proprio uno stolto» ricordava in un altro post durante il primo lockdown. Amedeo Tommasi amava la musica e amava insegnarla.

Una “lezione” online

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