In vista della sua esibizione di stasera al Teatro Bellini di Catania dedicata al grande compositore, abbiamo incontrato il giovane pianista gelese, vincitore dell’International Telekom Beethoven Competition, per parlare della sua formazione d’eccellenza e della sua grande passione per la musica classica

Studia da anni all’Istituto Superiore di Studi Musicali Vincenzo Bellini e proprio stasera si esibirà al Teatro Massimo Bellini in una serata dedicata a Beethoven, durante la quale eseguirà il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in do minore (op. 37) e la Sinfonia n. 7 in la maggiore (op. 92) sotto la conduzione di Günter Neuhold. Parliamo di Alberto Ferro, giovane talento della provincia di Caltanissetta con una carriera già segnata dalla vittoria a numerosi concorsi come il Premio Busoni nel 2015 e l’International Telekom Beethoven Competition, grazie al cui riconoscimento è stato invitato a questo appuntamento con la stagione sinfonica catanese.

L’ESPERIENZA AL BELLINI. «È la prima volta che suono il Concerto n. 3 di Beethoven e sono molto emozionato – ci confessa Alberto – ma c’è di buono che con orchestra e direttore stiamo trovando un’armonia e un feeling più che condivisi». Sul cartellone previsto al Bellini per il 2019, peraltro, si esprime con entusiasmo: «È un piacere constatare che, accanto a personalità celebri come Uto Ughi, molto spazio sia stato dedicato ai più giovani, segno che l’incoraggiamento nei confronti delle nuove generazioni non sta venendo meno».

UNA FORMAZIONE FORTUNATA. Un incoraggiamento, peraltro, che non è mai mancato nemmeno a lui. Della sua infanzia, infatti, ci racconta: «Mia madre si era a sua volta diplomata in pianoforte ed è stata fin da sempre la mia guida, per quanto non mi abbia mai forzato a suonare o a intraprendere determinati studi. Ho avuto il privilegio di scegliere da solo quando trasformare la mia passione in un mestiere». Una grande fortuna lo ha accompagnato anche nel corso degli studi musicali a Catania, dal momento che nel 2009 ha trovato un mentore nel maestro Epifanio Comis. «Per me è sempre stato come un secondo padre e mi ha aiutato a sviluppare un mio stile peculiare, basato essenzialmente sulla cantabilità e su una musica che sia il più umana e il meno robotica possibile».

PIANISTA E SPETTATORE. Pur avendo ancora la residenza a Gela, da anni Alberto ha la valigia sempre pronta: nord Italia, Germania, Francia, basta che ci sia un pianoforte ad aspettarlo. «In quanto siciliano sono molto legato alla mia terra. Considerando che mi piace viaggiare, però, lo stress non è mai eccessivo. Inoltre, nel tempo libero amo andare a teatro da spettatore e girare per il mondo mi dà l’opportunità di assistere a diversi spettacoli, paragonando di volta in volta approcci diversi allo stesso repertorio». Ecco perché, quando deve esibirsi all’estero, parte spesso un giorno prima per non perdersi eventuali appuntamenti di spessore: «mentre ci si prepara per un concerto navigare su internet per accedere alle esibizioni dei più grandi pianisti è di grande aiuto, ma essere presente dal vivo in sala regala sempre delle emozioni completamente diverse», ci spiega.

LAVORO E PASSIONE. Così, nel momento in cui i ritmi diventano troppo incalzanti perfino per lui, ritrova ispirazione nella musica stessa e in alcuni dei suoi pianisti preferiti – Horowitz, Michelangeli, Rubinstein, Martha Argerich e fra i più recenti Evgenij Kisin e Daniil Trifonov. Un professionista affermato e un grande appassionato, quindi, disposto a proseguire gli studi mentre continua a partecipare a concorsi e a concerti. «A volte mi capita di dire che sono un pianista e di sentirmi rispondere: “E poi? Che altro fai?”. Non sempre si capisce che il mio è un mestiere a tempo pieno, che mi assorbe completamente ma che al tempo stesso mi gratifica», sottolinea.
E a chi sogna di perseguire la sua stessa strada, senza pensarci due volte Alberto ricorda: «bisogna armarsi soprattutto di grande coraggio. Se si sente di essere nella direzione giusta, nei momenti di sconforto il segreto è inseguire a senso unico i propri obiettivi, senza mollare neanche per un attimo». D’altronde, come ci insegna la sua esperienza, è proprio la forza di volontà a portare “lontano”, tanto geograficamente quanto metaforicamente.

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