Vi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di pensare che se solo aveste vissuto in un posto diverso, anche la vostra percezione di voi sarebbe cambiata. Che sarebbe bastato cambiare spazio per cambiare mente, seminare chilometri per liberarvi del peso che sentivate in mezzo al petto.

È una sensazione che, per quanto vasto e sviluppato sia il mondo, continuiamo a provare tutte le volte in cui non ci sentiamo a nostro agio nella nostra città interiore, e ci illudiamo che trasferirci in un’altra metropoli esterna possa aiutare la nostra convivenza con noi stessi. In certi casi funziona pure, mentre per tutti gli altri casi ci sono libri come Costruisci la tua casa intorno al mio corpo.

Un romanzo d’esordio firmato Violet Kupersmith e portato in Italia da NN Editore, nella traduzione di Michele Martino, che non per niente racconta la storia di Winnie, una giovane che a vent’anni lascia gli Stati Uniti per trasferirsi a Saigon, in Vietnam, dove spera di sentirsi più “di casa” dal momento che di lì è originario suo padre: parte per andare a insegnare inglese, o almeno così continua a sostenere, anche se la verità è che il suo spostamento è dovuto per lo più alla vaga consapevolezza di non vivere dove dovrebbe.

Come noterà ben presto, però, non sono le quattro pareti che ci circondano a definire chi siamo, né i giganteschi centri urbani in cui ci muoviamo a trasformare la nostra identità: ogni incontro, anche il più assurdo o il più difficile, richiede per renderci persone diverse che siamo ricettivi al cambiamento, disposti a credere all’impossibile, pronti ad affrontare le stranezze, le ingiustizie e le meraviglie del mondo, senza mai lasciare da parte la nostra fiducia nel futuro e la nostra generosità.

In quest’ottica il testo di Kupersmith è un pre-testo che mira a ricordarci una lezione importante, ma è un pretesto che non si limita ad ammonirci o a descrivere il percorso interiore di chi, come Winnie, va in Asia per riconoscere sé stessa e per trovare la propria strada. È anche – e soprattutto – l’occasione giusta per capire che la vita non è fatta tanto segnaletiche da imparare a leggere e di istruzioni da seguire pur di individuare il nostro destino, quanto di imprevisti, di incongruenze, di presenze immaginifiche che in determinate circostanze riescono a guidarci in modi inaspettati, incomprensibili, irrazionali.

Tra persone che vengono descritte come altopiani, alberi di gomma e serpenti a due teste, l’universo di Costruisci la tua casa intorno al mio corpo sembra infatti volerci suggerire che non dobbiamo aspettarci dal domani un sentiero lineare e prevedibile, nel quale muoverci un passo dopo l’altro come se stessimo seguendo una processione: il futuro è piuttosto una dimensione ignota, caotica, una foresta vergine in cui osservare ogni cosa come se fosse la prima volta, come se la paura non esistesse.

Con queste idee in mente ci muoviamo quindi fra le vicende di Winnie, familiarizzando con un Vietnam di cui forse sappiamo ancora troppo poco, e sbirciando storie personali e collettive a cui avremmo molto da chiedere: fortuna che loro, fra le pagine, ci rispondono sempre, dandoci l’opportunità di seguire le orme della protagonista per conoscere meglio la sua Saigon, la sua personalità e perfino la nostra.

Perché, se anche non decidiamo di leggere questo romanzo per ritrovare noi stessi, possiamo comunque sfogliarlo con la speranza che qualcosa trovi noi: una suggestione, un’idea nuova, un ricordo antico. E realizzare, mentre ci avviciniamo all’epilogo, che la letteratura non è altro che uno scambio di voci e di pensieri, in grado di insegnarci che, come scriveva José Saramago, «bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini».

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