Quando un libro “al buio” è il miglior regalo che possiamo farci
Io e una mia amica, quando siamo a distanza, comunichiamo via lettera. Non proprio una lettera cartacea, perché ci fidiamo poco delle Poste e perché ci vorrebbe troppo tempo per starci accanto, per tenerci aggiornate, per esserci. Le scriviamo al pc, e poi ce le inviamo.
Capita spesso che, nelle mie, io infili anche i versi di una poesia. E la mia amica, che in genere non ha un buon rapporto con i componimenti, sostiene di trovarci sempre una chiave di lettura chiara, una piccola luce a cui attingere. Come se io le servissi da filtro per trovarne il bandolo della matassa.
Quando lei ha compiuto trent’anni, pochi mesi fa, volevo regalarle un libro speciale. Sono arrivata in negozio e mi sono aggirata fra gli scaffali per ore, un po’ come quando ho cercato il titolo giusto con cui inaugurare questa rubrica. Grandi classici? Scoperte recenti? Ho sfogliato interi volumi per ore e, nel momento in cui stavo per arrendermi, mi sono davanti alla sezione di poesia che tanto avevo snobbato.
«Lei non ne legge – mi sono ripetuta – però proviamoci». E dopo pochi minuti mi sono imbattuta nel Libro. Quello giusto, quello più adatto a lei. Ho cercato altre copie, perché l’unica esposta era un po’ sgualcita, ma non ne ho trovate. Ci ho pensato su, l’ho aperto in una pagina a caso e ho letto:
Era l’incipit di una poesia che le avevo scritto, una volta, in una lettera. Quante probabilità c’erano che la ritrovassi fra intere decine, a primo colpo? Quasi nessuna, ecco perché alla fine il libro l’ho comprato.
Quando l’ha aperto, lei, è rimasta per un attimo stupita. Tant’è che poi me l’ha chiesto: «Come mai proprio questa raccolta?». E io le ho spiegato tutto, le ho suggerito di aprirla come fosse un oracolo, d’istinto, a una pagina casuale. Per lasciarsi suggerire modi di stare al mondo, di guardare le aiuole, di scrivere un curriculum.
Io non l’ho ancora mai letto da cima a fondo, quel volume, ma la mia amica non lo sa. Ho regalato a lei il coraggio che non ho avuto io, la “gioia di scrivere” che vorrei non perdessimo mai, né io né lei. È stata una delle prime occasioni in vita mia durante le quali ho corso il rischio di suggerire a qualcuno un libro “al buio”, e con la presente rubrica saliamo a quota due.
Adesso, però, La gioia di scrivere del Premio Nobel per la Letteratura 1996 Wisława Szymborska è anche sul mio comodino. Ho cominciato a sfogliarlo, a coccolarlo. A cercare i versi seguenti della solita poesia, intitolata Disattenzione.
dice alla fine Szymborska. Le regole saranno pure ignote, però la partecipazione è consapevole. Richiede fatica, tempo da dedicare allo stupore, perfino qualche salto nel vuoto. E in ultimo, ma non per importanza, il desiderio di scambiarsi parole che facciano sentire meglio, siano in forma di lettera o legate da una rima.
L’importante, come ha scritto la mia amica in una delle sue, di lettere, è godersele “con piccoli movimenti, senza cercare nulla”, perché è solo così che troveremo una bussola nelle nostre librerie interiori.