Quando conosco qualcuno e dico di essere siciliana, ormai so cosa aspettarmi: entusiasmo, interesse e riferimenti a decine di stereotipi. Probabilmente accade per tutti i posti del mondo, e chissà quante volte mi sarò ritrovata dalla parte opposta della barricata senza neanche accorgermene. Perché c’è sempre almeno uno spicchio di mondo che guardiamo tramite la lente dei cliché, o che crediamo di conoscere già quando avremmo ancora molto da scoprire.

A ben pensarci, per certi versi così è pure più stimolante: appena scatta in noi il desiderio di approfondire la storia o la cultura di un fazzoletto di terra, cominciamo infatti a porre nuove domande a chi ci circonda, ascoltando risposte impensabili e trovandoci catapultati in contesti dei quali non avremmo mai immaginato neppure l’esistenza.

Possiamo riuscirci dal vivo o magari tramite racconti indiretti, esperienze guardate su uno schermo, podcast ascoltati in cuffia. E soprattutto attraverso i libri. A patto, naturalmente, che non siano zeppi di imprecisioni e luoghi comuni, come spesso per esempio mi appaiono i romanzi ambientati proprio nella mia regione.

Questo è il motivo per cui faccio spesso fatica a consigliare un titolo a chi vorrebbe conoscerla meglio. Magari cito giusto Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia e Salvatore Quasimodo – ma la verità è che appartengono già a un’altra epoca, e la Trinacria dei nostri giorni non l’hanno attraversata a piedi come noi. Perciò, il più delle volte, resto in silenzio o temporeggio, alla ricerca di un titolo che valga la pena condividere.

Oggi invece è diverso, perché un bel romanzo da menzionare l’ho trovato. Una novità fresca di stampa, che ha portato in libreria Italo Svevo Edizioni. Si chiama Animale e l’ha scritto Giuseppe Nibali, un giornalista con cui condivido la città di origine, Catania, e magari perfino il quartiere in cui siamo cresciuti. Si chiama Animale e per la prima volta mi ha portata fra i meandri dei paesini siculi senza farmi venire l’orticaria. Anzi, diciamo le cose come stanno: facendomi commuovere.

Leggevo del protagonista, Giuseppe, che tornava da Bologna lasciando il suo mondo iperconnesso per stare accanto al padre ricoverato in ospedale, e pensavo che la Sicilia non gli avrebbe fatto né da madre né da patria. Al massimo, da compagna di solitudine. Perché lo sapevo – lo so sulla mia pelle – che in questa regione afosa, piena di parole incomprensibili e di tradizioni assurde, non resta quasi mai spazio per le nuove generazioni.

E invece poi sono andata avanti e ho visto intrecciarsi la leggenda di Colapesce a quella del Sugghiu, la vita dei pescatori a quella dei lupi, il destino dei tonni a quello di una famiglia del XXI secolo, e ho realizzato che certe opere letterarie sanno ancora compiere quel difficile ma bellissimo miracolo di farti toccare con mano il presente, senza che debbano spiegartelo in modo pedissequo.

Animale procede per metafore, per voli pindarici, per suggestioni oniriche. È lungo meno di 200 pagine, ma ha una densità che lo fa sembrare di almeno 400. Ti porta su e giù per le generazioni e su e giù per Giardini Naxos, finché la sua giostra di eventi e di pensieri non la impari a memoria e la senti un po’ tua. È stato impressionante amare e odiare a tal punto la Sicilia attraverso gli occhi di un altro, vederlo maturare e capire la vita fra le sue stradine, e forse se Animale ha lasciato un segno in una conterranea scettica ed esigente come me saprà riuscirci pure con chi vive lontano da qui.

Anzi, diciamo le cose come stanno: se è stato pubblicato da una casa editrice la cui sede sta dalla parte opposta dell’Italia, deve esserci già riuscito.

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