“Attuppàri” e “tùppu”:
quando due parole
sembrano apparentate
e invece non lo sono

Il primo termine poca ha a che vedere con chignon, brioche e quant’altro, che invece sono indicati dal secondo: infatti, se un abitante dell’isola vi dice che durante la serata attupperà da voi sta intendendo piuttosto avvisarvi di una sua breve visita

Due settimane fa, sempre nella rubrica dedicata all’etimologia e alla storia delle parole più caratteristiche del dialetto siciliano, vi avevamo parlato del tùppu: un termine polisemico con almeno tre significati principali. Oggi, giusto per sfatare una falsa somiglianza, ci occupiamo invece più nel dettaglio del verbo attuppàri, la cui struttura farebbe appunto pensare a una qualche origine in comune con il noto sostantivo, e che invece ha un’origine completamente diversa.

Stando ai dizionari etimologici, infatti, la parola deriverebbe dal greco rójtoc, cioè “luogo”, e nel corso dei secoli ha subito una serie di cambiamenti che l’hanno trasformata nella forma diffusa fino ai nostri giorni nell’intera isola. Come si intuisce da quanto appena detto, quindi, questa forma poco ha a che vedere con chignon, brioche e quant’altro: se un abitante dell’isola vi dice che durante la serata attupperà da voi sta intendendo piuttosto avvisarvi di una sua breve visita.

La parola è spesso accompagnata da un gesto eloquente del polso, che simula proprio l’atto del bussare a una porta e che rende il termine comprensibile anche a chi non dovesse avere molta familiarità con la lingua sicula. Non tutti sanno però che, mentre l’accezione principale e più usata nelle conversazioni quotidiane ha a che fare con il giungere in un luogo, attuppàri ha anche una seconda valenza, oggi per lo più desueta a causa della graduale scomparsa di certe professioni.

In passato, infatti, il verbo significava anche “rattoppare”, “cucire”, tant’è che non è raro sentire dire tuttora attuppatìna nel senso di “rattoppatura”, in particolare fra esperti del mestiere o nonne appassionate di attività sartoriali. Ennesimo caso in cui il siciliano ha qualcosa da insegnarci e qualcos’altro da farci scoprire anche se crediamo di conoscerlo già.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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