“Sparàrisi ‘a chiàppara”,
l’opulenza sicula
passa da una pianta

Con le sue radici ben salde e i suoi grandi fiori bianchi, il cappero è una pianta dalle virtù innumerevoli: ha proprietà diuretiche e toniche, aiuta i capillari del viso a non dilatarsi troppo e, sotto forma di vino, ha addirittura virtù digestive e stimolanti.

Usato in cucina e nella cosmesi, nonché presente in molte città italiana, anticamente era un prodotto della terra raro e da conservare con oculatezza, motivo per cui, in Sicilia, ha poi dato origine a un modo di dire ormai proverbiale: sparàrisi ‘a chiàppara (o ‘a ghiàppera, o ancora a ghiàppara, in base alle zone).

A differenza di quanto si potrebbe immaginare, il significato non è così cristallino come sembra a prima vista e non ha niente a che vedere con i fucili o con altre armi da fuoco, così com’è incerta la stessa origine del termine chiàppara e del suo corrispettivo italiano cappero.

Dato che è arrivato in Italia grazie agli arabi, c’è chi pensa debba il suo nome al termine al-qabar, cioè capra, animale ghiotto proprio di capperi; secondo altri, invece, la pianta di origine euroasiatica sarebbe debitrice del corrispettivo greco kapros, o addirittura della parola Kypros, nome dell’isola di Cipro in cui da sempre il cappero cresce rigoglioso.

Al di là dei dubbi e delle curiosità etimologiche, numerose sono le interpretazioni sullo stesso modo di dire siculo. A detta di alcuni, infatti, usare ‘a chiàppara durante un pasto (ovvero spararsela, liquidarsela tutti in una volta) era sinonimo di festeggiamenti da celebrare, o di eleganza da sfoggiare a tutti i costi, proprio perché si trattava di una prelibatezza.

Così, il sintagma è passato a indicare chi cerca di fare bella figura, di vestirsi a modo, forse per via di un’ulteriore associazione mentale con la pianta del cappero stessa, che quando fiorisce acquisisce tutta la sua bellezza proprio perché “spara fuori” i suoi boccioli (non a caso, è con questo verbo che si indica nella Trinacria l’atto di una pianta di germogliare).

Quale che sia la verità, insomma, in Sicilia sparàrisi ‘a chiàppara è una maniera, non di rado ironica, per sottolineare il carattere o il gesto appariscente di qualcuno, e in particolare di coloro dai quali (per varie ragioni contestuali) non ci saremmo aspettati tanta esuberanza.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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