Lontani dai compagni e costretti ad apprendere da uno schermo, le confessioni di alcuni studenti desiderosi di ritrovare la normalità perduta suggeriscono al loro professore una riflessione su cosa voglia dire davvero insegnare

«Mi sembra strano dirlo, ma mi manca andare a scuola!». Così Giuseppe conclude una pagina del “Diario della quarantena” che ho proposto a tutte le classi come compito principale per questo periodo.  E poi ci provoca uno stralcio da quello di Elena: «In queste circostanze si manifesta il valore dello studio attraverso l’apertura mentale, l’acquisizione di senso critico, l’approccio alla vita e alle difficoltà in maniera più razionale, la capacità di distinguere una notizia vera da una falsa grazie al bagaglio culturale. Insomma, lo studio insegna a vivere e a pensare, e non c’è libertà più grande di questa, pur stando chiusi in casa».
La sostituzione delle comuni giornate scolastiche con la didattica a distanza sottolinea perché il significato di scuola va ben oltre. La vera scuola non è costituita da spiegazioni e interrogazioni, è formata da un rapporto con i compagni e i docenti, dal confronto, dall’amicizia, da sorrisi e sguardi; è un percorso che permette di formare una vera famiglia, di immetterci passo dopo passo in nuovi mondi. Un grazie lo dobbiamo proprio alla scuola se siamo chi siamo. Nella vita non avremo sempre la strada spianata, non sarà mai tutto semplice, un po’ come per Dante che parte dalla selva oscura; noi partiamo da una strada dissestata, eppure è proprio qui che dobbiamo munirci dei migliori mezzi per affrontare il presente ed il futuro».

Sarebbe necessario scommettere sulle relazioni davvero significative tra alunni e docenti, perché a vincere è la scuola che appassiona alla vita

Dunque, in presenza o a distanza, oggi e nei prossimi anni, vince la scuola che punta sulla costruzione di relazioni significative tra alunni ed insegnanti, tra docenti, con la dirigenza, con tutto il personale, con le famiglie; vince la scuola che appassiona alla vita, alla cultura, allo studio; vince la scuola in cui le nozioni incrociano l’esistenza essendo queste frutto della genialità di un essere umano; vince la scuola che non si accorge solo nell’emergenza di avere studenti con scarsi mezzi per seguirla a distanza o, pur nativi digitali e dopo ore di informatica, incapaci di scrivere su Word, salvare ed inviare un file; vince la scuola che, in pace ed in guerra, non guarda ai voti ma ai volti degli studenti; vince la scuola che ci racconta con speranza Virginia: «Studiamo perché non siamo in vacanza, perché ciò che finora è stato fatto, non sia perduto. Un giorno non lontano potremo dire con Tucidide che “il morbo colpiva con una violenza maggiore di quanto potesse sopportare la natura umana”, ma provocati da Boccaccio, poiché “il dolore segue l’allegria, la letizia alle miserie” e rasserenati da Manzoni che “il contagio sarà spazzato via dal temporale provvidenziale”.

Non che prima della pandemia l’istituzione scolastica fosse senza senso, tuttavia dobbiamo chiederci il perché della svogliatezza di moltissimi studenti e della stanchezza di altrettanti insegnanti.

Mentre il settore della scuola è agitato ai livelli più alti per la conclusione dell’anno, quando continuano gli scontri da manuale tra il ministero ed i sindacati, sapientemente c’è un quotidiano impegno di studenti e docenti che, pur tra i limiti della didattica a distanza, affrontiamo insieme l’esame più importante della vita. Reciprocamente cresciamo, ci confrontiamo, studiamo, impariamo e, se può essere scontato per un adulto, è bello sentirlo dalle parole di una liceale come Gloria: «Sento di aver compiuto una metamorfosi in questi giorni: da piccolo bruco indolente, mi sono trasformata in una farfalla che attraversa il mondo meravigliandosi delle piccole cose. Un cambiamento che non credevo riuscissi a fare dentro quattro mura: ampliare i miei orizzonti nello studio, nella lettura, nella musica e nel cinema, attenuando il mio male di vivere». In questo modo ed in questo mondo la scuola cambia e migliora ritrovando l’essenziale, riscoprendo sé stessa, ridando il vero significato al proprio nome greco – scholé – cioè tempo libero; ingabbiata ormai da anni ed anni, ora la scuola a casa e da casa, tramite la didattica a distanza, diventa di nuovo ciò era, un tempo libero da riempire di bellezza, interessi, approfondimenti, fuori programma, ricerche personali, scoperte. Certo, qualcuno leverà gli scudi per dire che questo non è studiare, che non si può valutare, dimenticandosi però che l’origine latina di studium è anche amore e passione, e valeo (da cui valutare) significa pure stare bene. Non è un giocare con le parole, ma un chiamare le cose con il proprio nome, poiché solo così esse riacquistano un senso ed una dignità. Non che prima della pandemia l’istituzione scolastica fosse senza senso, tuttavia dobbiamo chiederci il perché della svogliatezza di moltissimi studenti e della stanchezza di altrettanti insegnanti. In un tempo che ci mette dinanzi la sofferenza e la morte con tanta crudezza, non possiamo negare di avere iniziato l’anno scolastico pensando già dal primo giorno alle vacanze più vicine o sperando nella sospensione per l’allerta meteo! Lo abbiamo vissuto così fino all’inizio di marzo, poi tutto è cambiato e ci ha cambiati, restituendoci la voglia, il tempo, la passione, soprattutto il desiderio di tornare alla normalità, sì, però con un sguardo nuovo come scrive Jennifer nel suo “Diario”: «Ho capito che la scuola non è solo un edificio, ma è molto di più».


L’articolo che avete letto proviene dall’ebook “Il giorno dopo. Visioni del post pandemia“, a cura della nostra redazione con contributi di personalità come Sabino Cassese, Ferruccio De Bortoli, Jeff Jarvis, Derrick De Kerckhove e altri. La pubblicazione è disponibile gratuitamente a questo link

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