«Dal 1926, anno di fondazione dell’Istituto Nazionale di Statistica, a oggi l’indice di disuguaglianza è sempre stato in continuo aumento: cresce la ricchezza posseduta solo dal primo percentile della popolazione a aumenta il numero di individui poveri» una realtà messa in chiaro da Francesco Maria Chelli, facente funzioni di presidente dell’Istat, in occasione del seminario “Disuguaglianza e povertà” tenutosi venerdì scorso a Catania presso il Palazzo delle Scienze e organizzato dal dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania.

L’inflazione non è uguale per tutti. «Negli ultimi anni, in particolare nel biennio post-covid 2021-2022, l’inflazione ha raggiunto livelli molto elevati che si sono stabilizzati solo dal 2023. Il suo prezzo però non è pagato da tutti alla stessa maniera: l’aumento dei costi infatti ha riguardato soprattutto beni energetici e alimentari, che costituiscono la spesa principale di quelle famiglie meno abbienti. Basta osservare un carrello al supermercato per vedere che rispetto ad anni fa il volume è minore e il valore è maggiore, ossia il carrello è mezzo vuoto, ma la spesa è più alta» afferma il Prof. Chelli. «Più nel dettaglio – spiega – sono le famiglie e gli individui al di sotto dell’indice di povertà assoluta a subire le maggiori conseguenze del caro vita, che nel 2022 costituivano l’8,3% dei nuclei familiari per un totale di 5,6 milioni di persone». Quali poveri sono realmente poveri secondo l’Istat? «In Italia siamo soliti calcolare la povertà assoluta sulla base di un paniere che include i prezzi di abitazioni, alimentazione e risparmi: coloro che hanno una spesa mensile pari o inferiore a questi valori sono assolutamente poveri».

Dove si è più poveri? Rispetto a tale problematica, i dati parlano di un Paese diviso a metà: «Benché nel Mezzogiorno, inclusi Sud e isole – continua Chelli – viva un terzo della popolazione italiana, il 41% delle famiglie in povertà assoluta risiede proprio lì, soprattutto nei piccoli Comuni; al Nord questa percentuale è del 42%, ma a fronte di un numero di residenti pari alla metà degli Italiani». Non a caso a questi dati corrisponde un divario anche nel tasso di disoccupazione: «In Italia oggi l’occupazione ha raggiunto il 60%, ma nel 2022 a fronte di un livello medio di disoccupazione del 9,2%, in Sicilia si arrivava al 15%» chiarisce il Prof. Chelli.

Cause e possibili soluzioni. Un divario differenziato non solo a livello geografico ma anche in base ad altri fattori: «L’indice di povertà assoluta – spiega Chelli – si calcola non solo per singole regioni, ma anche per territori e famiglie. Da qui emerge che il rischio di povertà sale nelle famiglie con minori a carico, soprattutto se composte da stranieri, e in quelle con una bassa dotazione di capitale umano, cioè con un basso livello di istruzione». Le possibili soluzioni? «Cercare di aumentare la natalità, troppo bassa con soli 400000 nati ogni anno in Italia, e insistere di più sull’educazione scolastica: il presidente Mattarella ha detto “La formazione non è mai un fatto individuale: è una res publica”».

Un futuro incerto. Alla richiesta di previsioni per questo 2024 appena iniziato, Chelli risponde: «L’Istat non è solita fare previsioni, ma la ripresa del prodotto interno lordo (PIL) dopo il disastroso 2020 lascia intravedere una sua crescita dello 0,7% per quest’anno. Viviamo però in un’epoca di globalizzazione in cui fare previsioni sicure è impossibile: così come nel 2022 lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha generato un aumento dei prezzi energetici, anche l’attuale conflitto in Medio Oriente potrebbe avere conseguenze disastrose su un’inflazione finalmente in arresto».

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email