Quando in Italia sono arrivate le prime puntate di Friends, non è partito né l’hashtag #smellycat né #JeSuisJoe (scusa, Now TV). Non ci sono state battaglie mediatiche per il divisivo «We were on a break» di Ross che tuttora fa litigare amici e fidanzati, per non parlare dei test di personalità in stile «Sei più Monica o più Chandler?», il cui esito al massimo si trovava in calce al numero del Cioè di turno, e di certo non nelle nostre bacheche social, con tanto di emoji, gif e sticker ad arricchire la nostra reazione.

Erano i tempi in cui le sigle non sembravano mai troppe lunghe, né quando si trattava di anime adattati per un pubblico giovane e tutt’altro che familiare con la cultura nipponica, né quando si passava a telefilm con famiglie allargate o bagnini che correvano al ralenti. Perfino il concetto di spoiler era diverso e spesso gradito, nel senso che, se ci si perdeva un episodio giornaliero (o settimanale) e non si aveva un videoregistratore, quando si incontrava un amico gli si chiedeva: «Ma poi che è successo fra Lola e Pedro?». E si pretendeva di sapere tutto.

Da allora ne è passata di tecnologia sotto i ponti: non è più un palinsesto televisivo a scegliere per noi, paghiamo più volentieri un abbonamento che un canone e poi saltiamo da una proposta all’altra, tutte trasmissibili nello stesso momento, pur di evitare le pubblicità che ammazzano il cliffhanger e la colonna sonora. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta, un imbarazzo così potente da far finire le nostre serate prima ancora che siano cominciate. Perché? Perché le piattaforme di streaming sono condite di paradossi che gli scienziati non hanno ancora risolto (Sheldon Cooper incluso, e questo purtroppo è un grosso punto a suo sfavore).

Partiamo dal primo: non ci piace più aspettare. Questo si traduce innanzitutto nell’immancabile opzione «Salta intro», che avrebbe portato al fallimento Cristina D’Avena, e nella conseguente eliminazione in molti casi di una sigla vera e propria in film e produzioni seriali. Se c’è, e se non è possibile bypassarla, quantomeno deve essere impeccabile: breve, intensa, essenziale, moderna, curata, elegante. Un po’ come il nostro profilo nelle app di dating, in cui se non riusciamo a convincere nei primi 3,5 secondi rischiamo di venire cestinati a vantaggio della Regina degli scacchi di turno.

Poi c’è il paradosso dello spoiler, che potremmo spiegare come segue: due amici vedono lo stesso telefilm e amano gli stessi personaggi. Uno dei due, però, la notte prima ha fatto le quattro pur di finire la stagione in corso, mentre l’altro si è fermato alle due, prima dei due episodi conclusivi. Risultato? Parlare di scene e protagonisti diventa un tabù, perché l’effetto sorpresa ormai è tutto e il piacere di condividere un ragionamento è da rimandare al momento in cui i due amici si saranno fermati alla stessa puntata e avranno altrettanto freschi nella memoria gli eventi che l’hanno caratterizzata.

Infine, c’è appunto la questione del cosa guardare. Non esistono più dei menù del giorno, nessuna specialità dello chef: abbracciare un pubblico vasto significa presentare infinite pietanze (vedi alla voce: etichette) per ogni palato, ciascuna sensazionale e magnifica, insuperabile e imperdibile – in altre parole, la nemesi di chi ama più di un genere, di chi tende già di suo all’indecisione o di chi non è in cerca del fenomeno dell’anno e vorrebbe solo concedersi un piacevole svago. Niente paura, però: se non sapete cosa potrebbe fare al caso vostro vi viene in soccorso l’amico algoritmo, con la sua percentuale di probabilità di compatibilità (che fa pure rima). Così, risulterà più divertente farvi abbindolare da un 98% e poi staccare al tredicesimo minuto, oppure diffidare di un 3,14% ma trovarvi davanti un pi greco da Oscar.

Dal momento che non tutti sono fan dei numeri, e che a volte ci si accontenta di ciò che propone la statistica, comunque, di recente Netflix (prima che Amazon comprasse Metro Goldwyn Mayer, facendogli tremar le vene e i polsi) ha introdotto un nuovo pulsante, già familiare a chi usava Winamp, Windows Media Player e ora Spotify (ma se vi abbonate a Premium avrete skip illimitati e altre mitiche funzionalità da lettore mp3 pagato 18 € dieci anni fa, ci tiene intanto a ricordarvi una voce fuori campo). Un pulsante che potrebbe risollevare le vostre sessioni di binge watching, ovvero renderle ancora più estreme e imprevedibili. Un pulsante più potente di quello di Lost, che attiva la funzione «Riproduci qualcosa».

In altre parole, si delega al solito assistente intelligente l’onere di far partire un programma, uno qualsiasi, sul vostro schermo. Di casuale c’è ben poco, badate, perché tutto si baserà pur sempre sui vostri gusti schizofrenici, gli stessi grazie a cui alternate la visione di BoJack Horseman a quella di The good place. «Allora cosa cambia?», vi starete chiedendo. Cambia che se sbadiglierete non sarà stata colpa vostra, né del canale del vostro 50 pollici su cui sarete capitati facendo zapping (su internet, d’altronde, l’offerta è illimitata, ma la selezione è sempre e solo nelle vostre mani – mica come con il vecchio e caro tubo catodico). E cambia che, se invece troverete il capolavoro della vita, il merito sarà della stessa società di distribuzione a cui pagate un paio di caffè al mese.

Cambia tutto e non cambia niente, insomma. Aumentano l’immediatezza e la semplicità d’uso, diminuiscono le responsabilità e i tempi di esplorazione. E si ammortizzano, in teoria, il rischio di sbagliare e la vostra paura di annoiarvi, mentre cercate di capire se sia Netflix a voler assomigliare sempre di più alla Pay TV o viceversa. L’unica cosa che resterà da decidere a voi consisterà nel valutare se perdere un’ora e mezza a spulciare le categorie del catalogo o a cliccare di nuovo sullo shuffle player sperando di essere più fortunati.

A fine serata, poi, potrebbe chiamarvi vostra cugina per chiedervi cosa ne pensiate della nuova stagione di Love, death and robots, e voi potreste rendervi conto solo in quell’istante che qualcosa da vedere lo avreste trovato eccome, se solo aveste avuto più libertà e meno input martellanti davanti agli occhi, quando non vi sentivate ancora la palpebra pesante.

Rassegnati, riattaccherete dopo aver articolato l’ennesima minaccia da anticipazione, e vi consolerete mormorando: «Domani sera andrà meglio». Allora da una DeLorean volante apparsa sopra il vostro divano sbucheranno Marty McFly e Doc, li vedrete ridere di voi da dietro il finestrino e mostrarvi un foglio di carta con la scritta «Not on Netflix’s boat», mentre partiranno i titoli di coda della vostra vita insieme all’immancabile pulsante «Prossimo episodio».

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