Da Brecht a Mozart: l’Amara satira omnia
di Davide Garattini
Il regista milanese si è raccontato a tutto tondo, presentando il suo nuovo spettacolo che andrà in scena prossimamente a Taormina e che punta ironicamente il dito sull’ambiguità della società, ripercorrendo l’origine della sua passione e svelandoci la sua visione del mondo della danza oggi
Per Davide Garattini Raimondi la regia è un’urgenza. Milanese di nascita inizia il suo percorso creativo nel teatro di ricerca, poi arriva l’incontro con il musicologo Sabino Lenoci, fondatore delle riviste “L’Opera” e “Musical!”, grazie al quale intraprende l’attività di critico in giro per il mondo; un’esperienza importante con la quale arricchisce il suo bagaglio di conoscenze. A ogni spettacolo sente però sempre più forte il desiderio di tornare alla passione di sempre, così conclusa l’esperienza giornalistica si concentra sul lavoro di regista. Impegnato in questi giorni nella ripresa dello spettacolo “Amara satira omnia”, prodotto da SBAM-Sicily Ballet around movement e dall’Assessorato alla cultura del Comune di Valguarnera, ci siamo fatti svelare alcuni dettagli dell’opera di cui è regista oltre che drammaturgo.
Come mai ha chiamato lo spettacolo “Amara satira omnia”?
Il titolo, scelto da Melissa (Zuccalà, coreografa ndr), si riferisce all’intero progetto che si compone di quattro spettacoli, anche se a Taormina ne andrà in scena solo uno. In ciascuno s’ironizza sull’ambiguità della nostra società: sia essa politica, sociale, o come in questo caso, sessuale; sempre attraverso un testo di Bertolt Brecht e un’opera di Wolfgang Amadeus Mozart. Dalla satira viene fuori una certa amarezza per il modo in cui i due personaggi, Baal e Don Giovanni, vivono l’altro come oggetto.
È una condanna morale?
No, un’analisi satirica. Non volevamo toccare con seriosità quest’argomento per non cadere in un discorso morboso visto che già i due autori ci portavano in questa direzione. Il nostro scopo è di far passare anche i messaggi più crudi ma sempre con leggerezza. La messa in scena, infatti, rispetto alle opere originali dove entrambi i protagonisti muoiono in modo truce, si chiude con un messaggio di speranza.
Oltre alla sessualità sfrenata, quali caratteristiche di Baal e Don Giovanni mostra il lavoro?
In scena abbiamo tre Don Giovanni che rappresentano tre modi diversi di vivere la sessualità, una prima adolescenziale e quindi giocosa, una seconda più adulta che punta alla quantità e una più anziana verso gli estremi. Baal invece è senza regole, nei suoi testi ho tolto volutamente tutti i soggetti in modo da creare un’ambiguità maggiore. Mozart e Brecht in epoche diverse sono stati in grado di toccare argomenti scomodi, non voglio dire che a loro sarebbe piaciuto il nostro lavoro ma sicuramente si sarebbero divertiti. Abbiamo rispettato la loro visione mantenendo un sano senso ludico-teatrale dove lo spettatore è colpito in vari modi, sia positivi sia negativi.
Lo spettacolo mescola molti generi. Come ha fatto interagire musica, danza e prosa?
Al cast iniziale della prima messa in scena a Enna si sono aggiunti altri sette ballerini tra cui due solisti, due cantanti e un performer. Rispetto al debutto non abbiamo aggiunto personaggi ma abbiamo ripreso e rimontato ogni singola scena con un lavoro d’insieme. Creeranno sul palco diverse scene, in contemporanea, per cui il pubblico farà fatica a seguire tutto, ma vogliamo che sia così.
Questo sarà l’unico spettacolo di danza contemporanea a Taormina. Che ruolo ha secondo lei oggi la danza in Italia?
Arrivando dalla lirica ho una visione teatrale globale e non capisco come la danza possa essere così chiusa in se stessa. A mancare non sono di certo i talenti, semmai organizzatori in grado di far circolare i lavori. Nella lirica ci sono le co-produzioni, perché anche le compagnie di danza non fanno rete? In questo modo si favorirebbero gli scambi.
Come ha impostato il lavoro con la coreografa Melissa Zuccalà?
Nonostante la distanza geografica, essendo io a Milano e lei a Valgaurnera, all’inizio è stato molto intenso. Melissa aveva bisogno di avere il testo pronto per impostare il lavoro con i ballerini per cui ho dovuto scrivere in maniera rapida per rispondere a questa esigenza. Ci siamo trovati d’accordo sul fatto che in un lavoro del genere sia necessario oltre al coreografo l’occhio esterno del regista.
Una curiosità sui suoi inizi. Quanto è stato importante il lavoro con Sabino Lenoci e che rapporto ha oggi, da regista, con la critica?
Sabino Lenoci è stato importantissimo e lo è tuttora. L’ho affiancato per dieci anni durante i quali abbiamo visto per lavoro musical e opere in tutto il mondo, ma anche altri generi quindi ho avuto una visione a 360 gradi del panorama teatrale mondiale. Oggi con Sabino il rapporto è più distaccato anche se quando studio e lavoro a una messa in scena mi confronto spesso con lui perché ho molto rispetto per chi ha una grande conoscenza. Ai critici teatrali che conosco e stimo ho fatto un discorso chiaro, di scrivere dei miei spettacoli sempre in maniera libera perché ho bisogno di un riscontro vero e di un dialogo.
Spesso adatta le opere liriche per i giovanissimi spettatori, in quel caso il percorso creativo cambia?
È differente, perché il bambino è uno spettatore più esigente dell’adulto soprattutto per l’opera, per questo creo sempre personaggi-ponte che possano accompagnarlo all’interno del racconto. Ad esempio, a Liegi in “Cendrillon” ho usato una fata che raccontasse in maniera giocosa la fiaba ai più piccoli. Inoltre, tendo a fare spettacoli che non durino più di un’ora perché dopo un po’ la loro attenzione cala, anche se quest’anno alla Fenice di Venezia per le superiori ho realizzato uno spettacolo che di minuti ne durava 90. I giovani spettatori hanno bisogno di stimoli continui e se si trovano di fronte immagini che già conoscono, sono più predisposti a seguirti. Per “Il regno della luna” di Piccinni, infatti, ho ambientato l’opera nella fantascienza anni Settanta ed ho realizzato dei video specifici durante l’ouverture in cui raccontavo i personaggi e la trama in stile Star Wars. Quando posso poi, creo una certa interattività con il bambino, come in “Kattivissimi”, “Verdi di paura” e “Jezibaba…fate e fantasmi all’opera”, nati dalla collana di libri Curci.
Tre motivi per cui il pubblico non può assolutamente mancare il 23 agosto a Taormina.
Perché vedrà uno spettacolo nuovo, che non si aspetta, ma soprattutto per sostenere una produzione di teatro-danza al 90% siciliana.