«Nel 2020, ascoltando i bollettini quotidiani dei telegiornali, ci suscitava paura sentire il numero di vittime causate dal Covid-19. Perché non diamo lo stesso peso al numero di vittime generate ogni anno in Italia dall’inquinamento? 80mila morti». Al di là dei risultati del report “Mal’aria 2023” di Legambiente, che abbiamo analizzato di recente per ciò che riguarda la situazione in Sicilia, dovrebbero bastare queste parole pronunciate dall’ingegnere dei trasporti Giuseppe Inturri (professore associato di Trasporti nel Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Elettronica ed Informatica dell’Università di Catania), a far capire quanto la situazione ambientale sia critica.

«La Sicilia – continua infatti il docente – rispetto al Nord Italia ha la fortuna di avere un livello più basso di polveri sottili, ma in compenso ha un più alto quantitativo di biossido di azoto a causa del suo parco veicolare. In Europa la media è di 50 auto ogni 100 abitanti, mentre in Italia di 75 e in Sicilia addirittura di 80: a questo si aggiunge il fatto che Catania è seconda solo a Napoli per la vecchiaia dei suoi mezzi pubblici e privati, altamente inquinanti. Di conseguenza, non a caso, Catania e Napoli risultano essere le due città italiane con le più basse aspettative di vita».

EVITARE, CAMBIARE, LIMITARE. «Per restare in argomento – aggiunge poi Inturri – nell’isola c’è un notevole ritardo generale dal punto di vista della sostenibilità e della mobilità: troppe macchine in giro con un solo passeggero e poche opportunità di trasporto pubblico. Laddove il Piemonte investe in media 100€ per abitante per garantire l’efficienza dei mezzi pubblici, in Sicilia ci aggiriamo intorno ai 55€». E non è tutto, dal momento che «Catania prima vantava una tratta di 15 milioni di km percorsi dai veicoli pubblici, con ben 250 bus in circolo nell’ora di punta. Oggi, invece, queste cifre e le corse dei mezzi pubblici risultano entrambe dimezzate, e constatiamo con amarezza una riduzione della domanda del 75%. È un circolo vizioso, insomma: il cittadino ricorre all’auto perché non ci sono abbastanza alternative, e questo fa aumentare la congestione del traffico, che porta ogni catanese a trascorrere intorno alle 120 ore all’anno imbottigliato per strada». Parole in sintonia con quelle del professore Christian Mulder (professore associato di Ecologia nel Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali Informatica dell’Università di Catania), che dal canto suo suggerisce: «Alla carenza di mezzi si può far fronte in parte privatamente, ricorrendo alla condivisione delle auto e alle biciclette. Proprio i ciclisti però, che hanno un impatto zero sull’ambiente, sono le prime vittime dell’inquinamento, ritrovandosi costretti a respirare lo smog emesso dalle automobili». Inturri, a questo punto, riassume quindi le tre soluzioni che dovremmo iniziare a mettere in atto: «Evitare la mobilità non necessaria attraverso lo smart working; cambiare stile di mobilità camminando di più; e limitare l’inquinamento veicolare, introducendo più zone a traffico limitato (ZTL) e riducendo a 30 km/h la velocità nelle strade di città: questo intervento non richiede spese, ma solo coraggio. È infatti una decisione ardua, che provocherebbe molte lamentele, anche se dall’altro lato potrebbe ridurre il numero di incidenti mortali e i gas di scarico».

«Dovremmo andare nella direzione di uno sviluppo urbano regolato in base ai trasporti disponibili, e non viceversa»

TRA FONDI E CATTIVI INVESTIMENTI. Queste scelte e questi investimenti, allo stato attuale, dipendono in gran parte dalla Regione Sicilia. «Peccato che quest’ultima– reclama tuttavia Inturri – investa i soldi pubblici per scopi diversi dalla mobilità. L’ideale sarebbe invece possedere un nuovo disegno di Catania in modalità TOD: transit oriented development. In altre parole, dovremmo andare nella direzione di uno sviluppo urbano regolato in base ai trasporti disponibili, e non viceversa, il che significa far nascere aree commerciali in prossimità delle stazioni e dei luoghi raggiungibili a piedi o con i mezzi comuni, senza fare ricorso all’auto. E il tutto sarebbe ancora più semplice se con la digitalizzazione potessimo accedere a delle informazioni integrate: pensiamo per esempio a un’app che, una volta inserita la destinazione, tracciasse per noi il percorso più sostenibile, permettendoci di pagare i prezzi dei vari biglietti con un’unica emissione». Al riguardo si inserisce nel discorso anche Mulder, secondo il quale: «Se da una parte è difficile ridurre il ricorso ai mezzi di trasporto inquinanti, dall’altra parte quantomeno potrebbe essere più facile aumentare le aree verdi nelle città. Le piante funzionano infatti come delle spugne, assorbendo il particolato presente nell’aria e riducono l’inquinamento. Sembra che il Sud, però, sia restio a capirlo: i fondi del PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) ci sono, ma in Sicilia non vengono sfruttati in tal senso. Mentre io, nel frattempo, sono stato contattato da Reggio Calabria per rendere più verde la loro città usufruendo di questi fondi…».

«Non attendiamo che gli altri diano l’esempio, ma facciamo noi, in Sicilia, da esempio»

UN’OCCASIONE DI RISCATTO. E le considerazioni del professore Mulder non si fermano qui: «La Sicilia – aggiunge – potrebbe godere di potenzialità ciclopiche per divenire il nuovo energy hub d’Italia: quello che un tempo era il granaio di Roma, ovvero l’entroterra siculo, oggi a causa della desertificazione dovuta al cambiamento climatico potrebbe divenire il più grande serbatoio energetico della penisola, un immenso territorio in cui installare pannelli solari. Si tratterebbe di un vero e proprio riscatto per quella Sicilia che, fino a ora, ha fornito combustibili fossili mettendo a rischio la vita degli abitanti di Priolo Gargallo (SR), e che adesso potrebbe invece fornire all’intero Paese energia pulita». Perché questo si concretizzi, ammonisce però il docente di Ecologia, bisogna darsi da fare fin da subito: «Non attendiamo che gli altri diano l’esempio, ma facciamo noi da esempio: cominciamo a seguire gli accordi di Parigi sul clima, limitando la cultura dello spreco a partire dal singolo cittadino. Anche perché l’uomo è l’unico animale che danneggia l’ambiente per i propri interessi, e che anziché adeguarsi all’ecosistema si ostina a modificarlo». E, per chiarire fino a che punto le nostre azioni e la nostra forza di volontà possano avere un impatto positivo nel breve termine, Mulder ci tiene a ricordare che «negli anni Ottanta e Novanta si parlava tanto delle piogge acide causate dalle industrie dell’Europa dell’Est. Eppure, dal 1991 la questione è già stata risolta. Come? Con la caduta del muro di Berlino e l’ingresso dei Paesi dell’Est nell’Unione Europea, che ha imposto loro di adeguare le fabbriche agli standard occidentali. È il dialogo che sta alla base di tutto: non dimentichiamolo».

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