In che modo è possibile rimodulare l’insegnamento di fronte a generazioni in continuo mutamento? Come mostrare il confine tra pensiero libero e pensiero critico? E in che modo, di fronte ad una realtà che pressa con forza sempre crescente, l’istituzione scolastica si confronta con gli spunti che questa ci offre?

Il recente caso della professoressa palermitana Rosa Maria Dell’Aira ha acceso un notevole dibattito in seno all’opinione pubblica. Tra lo schieramento di coloro che da subito hanno mostrato vicinanza alla docente e quello di coloro che accusano sia lei che i ragazzi di essersi lasciati andare a maldestri confronti con il passato, invitandoli a non esprimersi se si hanno le idee confuse, numerosi quesiti sono stati posti, ma forse non tutti pertinenti se non si affronta il nodo principale: come si articola un dialogo reale in un’aula di scuola? Ne abbiamo discusso con la professoressa Marinella Spina, docente di italiano e latino presso il liceo Spedalieri di Catania, e con Marco Pappalardo, professore di materie umanistiche presso l’Istituto Superiore Majorana-Arcoleo di Caltagirone. «Spesso – spiega quest’ultimo – si sente dire che i ragazzi sono il futuro della società, ma in realtà sono già il presente: se continueremo a trattarli come quelli che dovranno agire nel domani, finiranno sempre per essere messi in panchina, per essere ritenuti inadatti. Noi docenti non dobbiamo mai smettere di metterci in gioco. Il mondo dei grandi è spesso abituato a dare risposte a domande che non ci vengono poste, perché pensiamo di saperne di più o perché riteniamo che nel poco tempo a disposizione sia meglio non dare ai ragazzi la parola». Come rimodulare, dunque, l’insegnamento di fronte a generazioni in continuo mutamento? Come mostrare il confine tra pensiero libero e pensiero critico? E in che modo, di fronte ad una realtà che pressa con forza sempre crescente, l’istituzione scolastica si confronta con gli spunti che questa ci offre?

«Ciò che rende il docente credibile è stimolare interesse. E in un’epoca in cui il bombardamento delle informazioni può facilmente portare ad uno smarrimento, questo fa la differenza»

IL PRIMATO DELLA VITA. Per anni, forse troppo superficialmente, la scuola ha preferito far valere l’autorità delle sue competenze piuttosto che il momento riflessivo, la prassi educativa passivamente tradizionale piuttosto che l’indagine di un disagio tanto radicato quanto diffuso nell’esperienza esistenziale degli studenti. «Quello dell’insegnante – continua Pappalardo – non è un mestiere, ma una professione, tramandare qualcosa di più grande a persone che sono esseri pensanti e non pesanti». A queste considerazioni fa eco la prof.ssa Spina: «Ciò che rende il docente credibile è stimolare interesse. E in un’epoca in cui il bombardamento delle informazioni può facilmente portare ad uno smarrimento, questo fa la differenza». Allora, se la missione educativa è tutto ciò, se si tratta di integrare in questo rapporto le dinamiche della vita che si svolge e si scontra con l’attività scolastica stessa, la soluzione non può e non deve essere soltanto ritagliare saltuariamente del tempo per discutere genericamente di fatti, ma cominciare a risignificare, seguendo il magistero della vita, le discipline stesse: «Ciò che studiamo – puntualizza il professore – parte dalla vita. Cosa resterebbe di un poeta se facessimo a meno del suo vissuto? Allo stesso modo non possiamo fare finta che la vita non irrompa con forza nell’esperienza degli studenti».

«I ragazzi sono animati dai confronti. Quando gli studenti entrano a contatto con una persona di fiducia – come può essere il professore – e apprendono un punto di vista diverso, questo si rivela utile alla loro crescita e alla maturazione di un senso critico autentico»

ANALISI AUTENTICA. Tale approccio, che interconnette fortemente il tempo del pensiero allo spazio dell’azione, può davvero mirare a stimolare la nascita del tanto discusso pensiero critico? Probabilmente sì, a patto che non ci si fermi a considerare tale anche il semplice pensiero libero che ritiene di poter esprimere un parere senza considerarne le conseguenze. Il docente, perciò, può diventare l’ago della bilancia per segnarne il discrimine: «Ciò che anima maggiormente i ragazzi – illustra la prof.ssa Spina – è scoprire il collegamento tra le cose, l’operare confronti. Quando gli studenti, a contatto con una persona di fiducia come può essere il professore, apprendono un punto di vista diverso e l’esistenza di una verità che ha più facce di quello che sembra, ciò, insieme ad uno studio attento della storia, si rivela utile alla loro crescita e alla maturazione di un senso critico autentico». Che altri non è che il significato più profondo del dedicarsi allo studio, come anche Pappalardo ci ribadisce: «Ricordo benissimo un episodio dei miei anni di liceo, ad inizio anni ’90, il periodo delle autobombe a Palermo e delle faide in strada a Catania. Un giorno, durante la ricreazione, un uomo senza vita si offrì alla nostra vista dalla finestra. L’ora successiva, la 4°, facemmo lezione come se nulla fosse accaduto. Allo scoccare della 5°, che prevedeva la lezione del severo professore di latino e greco, ci facemmo trovare pronti per la lezione, coi i libri sul banco. Lui ci rimproverò perché non avevamo capito nulla del senso delle sue lezioni, del percorso che avevamo fatto studiando le tragedie, le sofferenze dell’uomo, se ignoravamo quello che era successo ad un passo da noi. Da quella volta, credo di aver compreso che senso ha studiare».

«Negli anni l’istituzione scolastica ha capito che è necessario aprirsi a fatti che possono sembrare mera cronaca, ma che sono molto di più»

UNA NUOVA COSCIENZA. Nel 2007, in seguito ai terribili fatti post Catania-Palermo e alla tragica morte dell’ispettore Raciti, i ragazzi dello Spedalieri chiesero a gran voce un confronto sull’accaduto. La loro richiesta fu negata in nome del principio – che fece discutere – per il quale bisognava “pensare solo allo studio”. In seguito alla vicenda che ha come protagonista la professoressa Dell’Aira, il liceo catanese ha prodotto una lettera aperta in cui veniva ribadita l’importanza dell’esercizio della ricerca personale come scopo dell’educazione. Che sia il segno dei nuovi tempi? «L’istituzione scolastica – conferma la prof.ssa Spina – ha capito che è necessario aprirsi a queste esigenze, a fatti che possono sembrare mera cronaca, ma che sono molto di più». Del resto, come chiosa il prof. Pappalardo: «Si cresce insieme, imparando gli uni dagli altri. Non possiamo dimenticare di essere stati anche noi degli adolescenti con dei desideri. Il nostro compito è ricordarci di quel desiderio, e tenerne vivo il fuoco».

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