«La fotografia, come la scrittura, è una questione molto personale. Non mi piace farmi chiamare fotografo o scrittore. Lo faccio solo per fermare il tempo e poterlo riguardare con calma. Se mi metto davanti a un quadro di un grande maestro, quasi svengo. Mentre ai ragazzi di oggi, manca spesso il senso dello stupore, dello scoprire. Ci siamo disumanizzati». A parlare è Davide Cerullo, nato alla periferia di Napoli nel 1974, nono di 14 figli e cresciuto negli ambienti degradati di Scampia.  A 10 anni Davide è  già ricercato dalla polizia, mentre la madre viene arrestata per spaccio. A 14 gestisce già una piazza di traffico di stupefacenti, a 17 viene gambizzato da un killer e a 18 anni è già in carcere. Una vita, la sua, appena iniziata e già instradata verso la criminalità. Eppure in carcere tutto cambia.

Un giorno, tornando in cella, sul letto trova una copia del Vangelo e sfogliandolo viene colpito dalla storia del re Davide. Comincia un lavoro controcorrente e piano piano con l’aiuto di alcune persone fondamentali per la sua conversione si  riappropria della sua vita. «Uscito dal carcere – ha dichiarato in una intervista – cominciai a leggere Pasolini, Ghandi, Mandela, Majakovskij, Danilo Dolci, Don Milani, Alda Merini, Erri de Luca. Mi si aprì un mondo. Avevo ormai ventidue anni. La letteratura e la poesia mi hanno aperto degli orizzonti impensabili, mi hanno salvato. Quando lo dissi a mia madre, lei la prese malissimo. Era talmente abituata al male che pensò mi stessi perdendo. Poi un amico mi fece conoscere le suore di Don Guanella che mi ospitarono per due anni e da lì andai a Modena dove una famiglia mi accolse. Lavoravo come collaudatore di pompe agricole e in quegli anni mi sposai. Ho fatto moltissimi lavori e scrissi il mio primo libro, Ali  bruciate. I bambini di Scampia. Il confronto continuo con veri amici mi hanno fatto scoprire la grandezza che mi portavo dentro. In noi c’è molto più di noi, questa scoperta mi ha dato la possibilità di iniziare un percorso di riscatto attraverso la bellezza. Sapere di essere amato mi ha aiutato a svuotarmi di quella vita infame. Oggi vivo di scrittura, anche se non sono uno scrittore, e di fotografia, anche se non sono un fotografo».Oggi Davide vive tra Scampia e la provincia di Modena, ha una moglie e due bimbi, Alessandro e Chiara, e qualche anno fa ha deciso di lottare contro quel mondo che gli aveva portato via la fanciullezza. Proprio a Scampia ha fondato  un’associazione per bambini a rischio di essere adescati dalla camorra. Si chiama “L’Albero delle Storie”.

Così Davide racconta l’inizio della sua avventura fotografica: «Cominciai a fotografare per immortalare, per fermare un’immagine, per guardare bene e capire meglio. Io non avevo avuto la possibilità di essere un bambino e quindi incominciai a fotografare i bambini e incontrare attraverso loro, la mia stessa tristezza, il mio non essere stato bambino. Ho iniziato a fotografare prima ancora di scrivere. Amo molto i ritratti e volevo fare fotografie che turbassero, anche violente, per suscitare un senso di sgomento che avvicinasse la gente ai bambini del complesso di case nel quartiere le Vele. Ho sempre avuto paura di essere un professionista della fotografia o della scrittura. Sono un analfabeta di ritorno e uso questi mezzi semplicemente per testimoniare che si può cambiare. Credo nella speranza, ma è davvero come camminare sul filo del rasoio, anche perché il “sistema” ti dice che non potrai cambiare. E se cambi non è affatto facile disabituarsi ai soldi, all’essere stati criminali. Io saprei ancora come fare a esserlo, se solo volessi. A volte devo combattere contro me stesso per riaffermare la mia libertà».

La foto scelta è di quelle che ti lasciano un segno dentro, attraverso la tenerezza del bacio di un bambino alla sua mamma. È una istantanea colta in un giorno d’estate in uno dei grandi palazzi del quartiere simbolo di Scampia, un manovale sistema un parapetto di comunicazione tra 2 scale, è incuriosito dal fotografo, un bambino abbraccia la mamma intensamente che, a sua volta, socchiudendo gli occhi vive quell’istante intensamente. E’ uno scatto simbolo del riscatto di tanta gente di Scampia. Trasmette l’emozione del rapporto più importante della vita, quello con la propria madre, e segna una strada per ricominciare, il volersi bene e il lavoro onesto. Il bianco e nero rende tutto più coinvolgente dove anche uno dei tatuaggi di topolino sulla pancia dell’uomo che lavora ti solleva dalla durezza dell’esistenza in un quartiere così difficile della Campania. Molti di queste immagini, scattate nall’arco di dieci anni, sono state pubblicate in Francia in un libro, frutto dell’incontro nel 2015 del fotografo con l’artista Ernest Pignon che lavora molto allestendo ambienti con disegni e serigrafie. 

Come Davide attraverso la fotografia e la scrittura sia diventato anche educatore nell’associazione “L’Albero delle Storie” da lui fondata, ancora non è chiaro neppure a lui.  Una cosa è certa, si può cambiare vita, le mafie non sono invincibili. Oggi Davide racconta storie ai bambini, alleva animali in mezzo alla sua Scampia, offrendo a chi viene nel centro una alternativa reale  alle scorciatoie proposte dal  crimine organizzato. Davide ha avuto il coraggio di non archiviare mai la speranza e a partire dall’incontro con veri maestri è diventato lui stesso maestro di vita.

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