Ci sono dei momenti della vita in cui tutti gli amori sembrano impossibili. Perché sono lontani, tristi, sfilacciati, o semplicemente perché hanno smesso di pulsare. Arriva un giorno in cui ogni amore, da palloncino che era, si sgonfia e si trasforma in un fazzoletto di lattice inutilizzabile.

Per me, uno di quei momenti ha coinciso con una promozione libraria che – ironia della sorte – mi ha letteralmente conquistata. Così ho deciso di comprare cinque libri al prezzo di due, mi pare fosse questo l’affare, e di conoscere meglio una casa editrice italiana indipendente della quale avevo sentito parlare spesso e bene, ovvero NEO Edizioni. Fra le possibili scelte c’era un volumetto intitolato – guarda caso – Dizionario degli amori impossibili, di Ivan Talarico.

 Un’antologia senza lieto fine, che in copertina aveva un’illustrazione di Antonio Pronostico ispirata alle architetture impossibili di Escher. Come non trasformarla in un libro di carta da sfogliare? Come non cogliere l’occasione per scoprire quanti altri amori impossibili potessero esserci, là fuori?

Appena è arrivata, l’opera ha conosciuto le mie mani curiose e ha svelato il suo indice: A di Abitudine, B di Blu, C di Coerenza, D di Divergenze, E di Elucubrazioni… Sembra quasi come la poesia di Rimbaud sulle vocali, con la differenza che qui le lettere c’erano proprio tutte, perfino le più strane come la H, perfino le più difficili come la Z. A ciascuna una storia, se non addirittura due, o tre nei casi più fortunati.

Un racconto di poche pagine, tagliente, che con la sua immagine d’apertura ancora una volta a metà fra la geometria umana, il kamasutra e l’alfabeto 3D era capace di spalancare mondi surreali sui motivi, sui modi, sugli attimi per i quali un amore si trasforma in un ricordo, in un rimpianto, in una follia. O anche in un’illusione, in un incubo, in carta straccia.

Credevo che avrei fatto male, a leggerlo durante il Solleone e all’ombra di un’altra storia – personale – appena naufragata. Invece mi ha riportato alla mente due grandi verità sulla lettura, sullo stare al mondo, sulle relazioni.

La prima, per citare il film Chi ha incastrato Roger Rabbit?, è che «Una risata può essere una cosa molto potente. A volte, nella vita, è l’unica arma che ci rimane», specialmente se è ben affilata e se la si utilizza con intelligenza, con umorismo, con raffinatezza. Nel mio piccolo, ci avevo già provato immaginando che due dei miei comici preferiti trovassero il lato divertente di quel che stavo passando, per aiutare anche me a riconoscerlo un passo dopo l’altro – poi è arrivato Talarico, e ha completato ad arte l’operazione.

La seconda verità sta nell’epigrafe stessa del libro, e fa notare quanta gente esista a questo mondo capace di provare un sentimento, anche se «poi non lo mangia». Ci sono stati d’animo che invece andrebbero proprio divorati, sorseggiati, sbocconcellati: ciascuno a suo modo, basta che diventino succulenti bocconi dei quali saziarsi un morso alla volta, senza lasciare scarti e senza temporeggiare.

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