Un museo dedicato al tempo, al suo fluire e alle memorie che custodisce. Un museo che prende il nome proprio dal tempo e – appunto – a lui si ispira con itinerari tra sale sospese nel passato. “Tempo” è l’acronimo di “tessuto, emigrante e medicina popolare” che sono i tre cardini del museo di Canicattini Bagni, dove le radici più identitarie di una comunità vengono rievocate attraverso reperti che raccontano la vita della gente del Novecento. Il viaggio nella memoria parte dal cuore dei monti Iblei dove si trova questa cittadina intarsiata di Liberty: Canicattini Bagni, appunto. Un feudo nobile trasformatosi in borgo.

UN PEZZO DI STORIA. In via De Pretis, nei locali che un tempo erano le stanze di un orfanotrofio, si trova un museo nato grazie alla passione per il passato e alla difesa per gli usi e i costumi popolari profusi da un gruppo di studiosi locali: Tanino Golino, Paolino Uccello, Carmelo Santoro e Cettina Uccello. Sono stati loro che, mossi dalla volontà di salvaguardare un tesoro fatto di tradizioni, hanno ripreso dapprima le usanze tipiche del territorio canicattinese legate alla lavorazione della canapa e del lino e hanno voluto far rivivere così uno spaccato della vita di un tempo. Il risultato è stato un viaggio a ritroso nei secoli fatto di un’eredità che risale al Medioevo e giunge sino agli inizi degli anni Venti.

L’etnoantropologo Paolino Uccello: «Il corredo della sposa è legato al momento fondamentale della vita della donna. Più i bauli erano ricchi di ricami, più la sposa aveva lustro»

AMORI E TELAI. In mostra c’è la vita del passato a partire da quella degli emigranti raccontata attraverso le lettere, le cartoline e le fotografie inviate da chi aveva lasciato Canicattini per trovare fortuna in America. Tra le vetrine c’è quella corrispondenza d’amorosi sensi che rievoca un momento storico impresso nella memoria delle generazioni passate e tramandato a quelle moderne. Sono così esposte le valigie di cartone e i biglietti del viaggio oltreoceano, ma anche il primo oggetti portati da chi tornava dall’America al suo paese stupendo i parenti con i primi rasoi elettrici o le carte da gioco made in Usa.
Il secondo percorso espositivo è poi quello del “Tessuto” e dunque legato al gineceo che caratterizzava le famiglie del secolo scorso dove la figura della donna era il simbolo della casa. Suggestive le stoffe e i ricami che narrano i momenti più intimi della vita femminile dell’epoca: dal corredo nuziale a quello dei bambini. E poi il telaio e i capolavori che l’estro e l’abilità delle donne riuscivano a creare. «Il corredo della sposa – dice l’etnoantropologo Paolino Uccello – è legato al momento fondamentale della vita della donna. Più i bauli erano ricchi di ricami, più la sposa aveva lustro. Per questo non si badava a spese per realizzarlo e veniva messo in mostra nella casa della promessa sposa, per farlo ammirare dai parenti e dare sfoggio di ricchezza».

CONSUETUDINI DI UNA VOLTA. Lo storico Pitrè scriveva come fosse usanza comune in Sicilia la cosiddetta «faccenda del pettine». «La madre del futuro sposo – racconta Uccello – con un pretesto si recava nella casa della sposa promessa per chiedere un pettine da telaio. Questo contatto fra futura suocera e nuora era molto importante, perché tutto il matrimonio dipendeva dal riscontro positivo o negativo che la suocera ne ricavava. Se la ragazza al momento dell’incontro oziava, allora veniva definita pigra, “lagnosa”; se la futura suocera l’avesse trovata intenta a mangiare, ancora peggio: avrebbe mandato la casa in rovina. Se invece la futura moglie fosse stata trovata intenta a tessere al telaio, allora, questo sarebbe stato il simbolo di un lieto inizio e di un buon matrimonio, ricco di figli». Questo significativo momento legato alla tradizione più antica della Sicilia vede protagonisti sia il telaio che il fuso, strumenti non solo di lavoro, ma anche del destino che, nelle credenze popolari, doveva essere in tutti i modi indirizzato ed esorcizzato.

In mostra ci sono piante medicinali e altre usate nella vita quotidiana, ma anche filtri d’amore, contro il malocchio e le altre credenze dell’epoca

ANTICHI RIMEDI. Le ultime sale del Museo del Tempo sono quelle più magiche perché raccontano le usanze di filtri e medicamenti dalle radici antichissime. In mostra ci sono piante medicinali e altre usate nella vita quotidiana come, per esempio, quelle con le quali di tinteggiavano i tessuti rievocando le tecniche dell’antico Egitto. E ancora filtri d’amore, contro il malocchio e le altre credenze dell’epoca. Sugli scaffali, tra alambicchi e recipienti di vetro, anche la mistura per far innamorare un uomo mescolando qualche pelo della barba di un monaco al sangue più intimo della donna, oltre a varie radici e piante essiccate condite da nenie e preghiere.

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