Sarà che la data dell’11 Settembre evoca sempre un che di tragedia – a partire da quel fatidico 2001 con l’attentato alle Twin Towers e ad altri obiettivi sensibili – ma è proprio questa data che la RAI ha scelto quest’anno per chiudere tutte le sue trasmissioni in onde medie. Per intenderci, nella banda di frequenze radio denominata “AM” o modulazione di ampiezza, che tutti gli apparecchi radio hanno, da quando Marconi trasmetteva i suoi primi segnali. Dall’11 settembre di quest’anno non è più possibile dunque ascoltare le trasmissioni RAI, se non facendo ricorso alle stazioni FM, alla radio DAB o alle dirette streaming captabili via Web. Si dirà, soprattutto da parte dei giovani che sono cresciuti direttamente con la disponibilità dei telefoni cellulari e della rete internet sempre a portata di mano, “E allora? Largo alle nuove tecnologie! Onde medie, che residuo del passato…”.

La chiusura delle trasmissioni radio in onde medie segue peraltro una strategia che è iniziata già da tempo, con l’accorpamento delle varie reti RAI presenti in onde medie in un’unica stazione, RAI Radio 1, che nel nostro territorio catanese trasmetteva sulla frequenza di 1062 kHz. Trasmetteva, appunto, perché dall’11 settembre, non si ode più nulla su questa frequenza. Ma torniamo ad una valutazione serena di cosa guadagniamo e di cosa perdiamo per questa decisione, contro la quale sono state avviate anche delle petizioni da parte di enti ed associazioni.

I costi di gestione, hanno detto in molti, specie in un periodo di crisi energetica, e con un ridotto numero di ascolti. Un trasmettitore radio, certamente, consuma energia elettrica, dato che ha bisogno di una notevole potenza. Ma i costi dell’energia elettrica, anche per una grossa stazione radio, sono irrisori rispetto a quanto costa realizzare i programmi da trasmettere e pagare il personale, e tutto questo la RAI continua a farlo, per poter trasmettere il suo palinsesto attraverso altri mezzi di comunicazione. Il risparmio sui costi di gestione non sembra dunque essere un elemento decisivo.

Per capire cosa perdiamo nel chiudere le trasmissioni su queste frequenze dobbiamo capire innanzitutto, almeno in modo qualitativo, a che distanza si può trasmettere un segnale radio. Le trasmissioni FM, quelle su cui trasmettono tutte le radio locali, hanno tipicamente una portata di qualche decina di km: antenna trasmittente e ricevitore devono potersi “vedere”, e oltre qualche decina di km la curvatura stessa della Terra, oltre che gli ostacoli naturali e artificiali impediscono la ricezione diretta. Il motivo per cui abbiamo la (apparente) percezione di poter ascoltare delle trasmissioni FM su tutto il territorio nazionale è che ci sono i ponti ripetitori, installati un po’ ovunque e che ritrasmettono il segnale, strategia peraltro utilizzata solo dai grandi network, non dalle piccole stazioni veramente locali.

E in onde medie? Qui la portata di una trasmissione radio, specie nelle ore serali, può raggiungere alcune migliaia di km, a causa della propagazione nella ionosfera. È questo il motivo per cui la sera, se accendiamo la nostra radiolina, anche economica, e scegliamo “AM” anziché “FM”, possiamo ascoltare una varietà di trasmissioni radio da tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Grecia ai Paesi nord-africani o del Medio Oriente. Così come gli abitanti di questi Paesi, anche con una semplice radiolina e senza nessuna connessione internet, potevano finora ascoltare anche la RAI.

E finalmente, le onde corte, che la RAI ha già tagliato da tempo, oltre alle onde lunghe: in questo caso la portata delle trasmissioni aumenta ancora ulteriormente ed è possibile ricevere segnali anche dalla parte opposta del nostro pianeta. Le onde corte sono la tecnica attraverso la quale molti Paesi, ancora oggi, diffondono brandelli della propria cultura – o della loro propaganda in alcuni casi – verso il resto del mondo, bypassando le censure interne sugli altri mezzi di comunicazione. Non è un caso, come abbiamo avuto modo di raccontare proprio su queste pagine alcuni mesi addietro, che la BBC ha ripreso le sue trasmissioni radio in onde corte, per diffondere notizie alternative a quelle passate dal regime, in occasione del conflitto russo-ucraino. In onde corte molte emittenti straniere, come Romania, Cina, Egitto, Iran, Argentina e altre, hanno anche dei programmi in lingua italiana, oltre che in inglese, francese, spagnolo…, proprio per far conoscere il loro punto di vista sulla situazione interna o su quella internazionale, diffondere la loro cultura o la loro musica. Strategie una volta adottate anche dalla RAI nei confronti di altri Paesi.

Tutto questo, dunque, si perde chiudendo le trasmissioni in onde medie e in onde corte. Su queste bande continueremo perciò ad ascoltare le sempre più frequenti stazioni della Cina e dei Paesi di lingua araba, che mantengono finora, e anzi incrementano, le loro trasmissioni, ma non trasmetteremo più verso altri popoli – almeno con questo mezzo – contenuti tipici della nostra cultura. Se l’argomento precedente ha un valore preminentemente culturale, alcuni hanno sottolineato invece anche altri aspetti che la RAI, in quanto pubblico servizio, dovrebbe tenere in conto, in occasione di grandi eventi catastrofici, nei quali l’energia elettrica, i telefoni cellulari e la rete internet potrebbero essere preclusi in una vasta area. In questo caso solo trasmissioni radio capaci di farsi ascoltare anche a distanza di centinaia di km da parte di radioline alimentate a batteria potrebbero fare la differenza tra l’essere all’oscuro di tutto ed essere informati sugli avvenimenti e sulle indicazioni da seguire. In altri Paesi, come negli Stati Uniti, sintonizzarsi su frequenze di emergenza nella banda delle onde medie è prassi comune in caso di situazioni critiche, come ad esempio l’arrivo di uragani.

La perla, infine, relativa a questa notizia della fine delle trasmissioni in onde medie, è che la RAI ha segnalato questa chiusura solo attraverso la comunicazione di servizio che le audiodescrizioni per i non vedenti, abitualmente ascoltabili proprio su Radio 1, dall’11 Settembre sarebbero state disponibili esclusivamente mediante i canali audio dedicati del digitale terrestre. Da questo a capire che tutte le trasmissioni sarebbero sparite ce ne corre. Nient’altro riguardo alle motivazioni e alle conseguenze di questa scelta. Che costi troppo per il servizio pubblico anche presentare delle comunicazioni che facciano capire i problemi, le possibili soluzioni e le scelte adottate?

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