Il termine, che indica quell’insistenza tipica dei bambini che chiedono qualcosa, o di alcuni pazienti ospedalieri che vorrebbero essere dimessi, ha una storia che parte da molto lontano

Avete mai assistito in diretta alle smanie che hanno gli studenti universitari nei cinque minuti prima di sostenere un esame impegnativo? Avete presente l’ansia di chi è in fila, ha fretta e vorrebbe che il mondo intorno si muovesse a velocità doppia, se non tripla? O ancora, vi è mai capitato di essere alla guida nel traffico, durante le ore di punta, e sentire qualcuno suonare il clacson all’impazzata senza apparente motivo? Bene, in Sicilia si direbbe che questi soggetti abbiano ‘a cardacìa (o caddacìa, o caldacìa).

Si tratta, in altre parole, di un’agitazione incontrollabile, che si manifesta con sintomi fisici e che rende la persona insofferente, a tratti assillante: una vera e propria camurrìa, insomma. Nei bambini può equivalere all’insistenza con cui si fa una richiesta, o in alcuni pazienti ospedalieri quella con cui si vorrebbe essere dimessi, o quantomeno ricevere il parere di un medico sul proprio stato di salute. Che si sia in famiglia, in un ufficio o per strada, quindi, gli abitanti dell’isola portano spesso con sé una certa impazienza generalizzata e a tratti contagiosa.

L’origine di un simile atteggiamento, dal punto di vista linguistico, è da fare risalire all’epoca medievale, nel momento in cui l’aggettivo in greco antico ϰαρδιαϰός diede vita alla forma sostantivata ϰαρδιαϰία, cioè “malattia del cuore”, che per antonomasia avrebbe come conseguenze l’affanno e l’inquietudine. Una probabile commistione con il termine latino carduus, che fra le altre cose è sinonimo di “molestia, tedio”, ha poi portato a un mutamento consonantico dell’aspirata “ϰ” nella “c” dentale ancora oggi in uso, per l’appunto, nella parola cardacìa.

Tutto farebbe pensare, pertanto, che i siciliani abbiano ereditato una delle loro caratteristiche peculiari da avi lontani, e non solo etimologicamente parlando.

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