Da amante delle liste, più di una volta ho provato a mettere per iscritto, punto per punto, le mie principali paure. Da quella degli scarafaggi a quella del buio, passando per la paura delle altezze e quella che mi pervade alla vista del sangue, ne ho alcune che mi trascino praticamente dall’infanzia.

Nel frattempo ne ho superate parecchie, e un metodo che in genere nel mio caso funziona consiste nel ritrovarmi in situazioni potenzialmente a rischio, ma in cui in realtà sto solo simulando di trovarmi faccia a faccia con un problema, mantenendo comunque bene in vista una via d’uscita sicura, se dovessi inquietarmi troppo.

In tal senso, ho quindi scoperto che la lettura è un ottimo strumento per mettermi alla prova: procedo al mio ritmo, posso modulare l’immaginazione delle scene più triggeranti – come si dice in gergo – e a fine esperienza maturo un certo coraggio, un pizzico di dimestichezza in più, una sensazione di sollievo e di padronanza della situazione che mi incoraggia e mi rassicura.

Quando, poi, leggo addirittura testi che spiegano i meccanismi che stanno dietro alla paura, il passo avanti personale si unisce al fascino della scoperta, alla sensazione di lasciarmi andare all’angoscia mentre la vedo trasformarsi in innocua curiosità. Ecco perché un manuale come Scrivere il perturbante. Modelli, tecniche, strategie di Giorgia Tribuiani, uscito di recente per Dino Audino Editore, mi è sembrato il punto di riferimento ideale da approfondire.

Il saggio spiega infatti approfonditamente quali teorie stanno alla base del terrore e attraverso quali strade i grandi autori di ieri e di oggi riescano a suscitare in noi quel gelo alla nuca che ci conquista e ci atterrisce sempre, risvegliando i nostri timori più ancestrali e creando in un contesto sicuro e ricco di spunti una realtà deforme, tremenda, sconcertante. L’opera è rivolta a chi scrive, per l’appunto, ma in fin dei conti anche a chi legge, o a chi vuole saperne di più sull’argomento tout court, dal momento che lo stile è sempre scorrevole e coinvolgente, pur trattandosi di un lavoro sempre puntuale e autorevole.

E così, la maniera in cui mi ha segnato la percepisco non appena alzo gli occhi dalla pagina e vado in cucina a tarda sera senza accendere prima la luce, o mentre cammino a piedi nudi sul terreno senza avere prima controllato se intorno a me ci fosse qualche insetto blattoideo. Perché ha dato forma all’irrazionale, prendendolo per mano e svelandogli cosa si nasconda oltre lo sgomento, come si costruisca un’atmosfera tenebrosa, e di conseguenza come padroneggiarla.

Modelli, tecniche, strategie che non servono dunque solo sulla carta, ma che hanno una validità concreta anche là fuori, sopra un ponte tibetano o nella corsia di un ospedale. Ispirazioni, indicazioni e suggerimenti che hanno valore nella letteratura proprio avendone uno ben più evidente al di là della pagina, e rispecchiando pertanto il mondo in carne e ossa nel quale siamo immersi.

Snello, efficace, completo: Scrivere il perturbante è una raccolta preziosa di esercitazioni contro i propri limiti, di stimoli per la fantasia, di strade alternative da percorrere quando si vuole dare voce a una manifestazione dell’assurdo o allontanarla da sé, e proprio per questo fin dalle prime pagine si configura come un farmaco, nel senso greco del termine: un veleno che chi scrive può imparare a manovrare al meglio, e una cura per chi – dal veleno dell’inquietudine – sente invece di essere infettato.

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