Titoli che parlano da soli: Pregiudicati, Criminale, Bandolero. Testi duri, truci, violenti. Un lessico da romanzo criminale, che mescola dialetto, gergo della malavita e termini ispanici. Video che attingono a piene mani nell’iconografia trash delle serie televisive sui narcos: armi, fiumi di cocaina, soldi, piscine, sesso. La vita intesa come una corrida. E lui che si definisce il matador, il selvaggio del barrio che spara agli infami, il giaguaro che combatte le pantere (della polizia).

Non siamo a Medellìn, Colombia, né a Tijuana, Messico. Ci troviamo a Catania fra periferie da suburra e una Porta Uzeda che sembra l’arco d’ingresso di una calle della capitale dei narcotrafficanti. E il giovane selvaggio del barrio è un “ba-ba-bambino che si è rotto già il cazzo”, come rappa in Pregiudicati, il cui video ha superato l’impressionante cifra di 8,7 milioni di visualizzazioni. E non sono da meno Criminale (4,2 milioni) e Blue bandana (2,7 milioni). Stessi numeri su Spotify.

Il “ba-ba-bambino che si è rotto già il cazzo” si fa chiamare Skinny. È catanese e all’anagrafe è registrato come Noà Magro. Un nome d’origine ebraica, che richiama il primo patriarca, sul cui significato «non mi sono mai posto particolari domande», ammette candidamente il diciassettenne rapper cresciuto nella «Catania dentro Catania», come tiene a sottolineare. San Cristoforo, ovvero. Un quartiere popolare nel cuore della città etnea, malfamato per diverso tempo. «Tanta gente lo considera difficile, ma io sono orgoglioso di viverci».

Noà ben presto, si accorge che la scuola non fa per lui. L’arte sì, però: «Graffiti, skate, rap, breakdance. Avrò avuto 12 anni, 13, e i graffiti mi hanno spinto dentro l’hip hop»

Nel quartiere ghetto, terra di conquista per i clan di Cosa Nostra, serbatoio di bassa manovalanza per la criminalità, cresce il piccolo Noà. Che, ben presto, si accorge che la scuola non fa per lui. L’arte sì, però. Quella che aveva ammirato sin da piccolo guardando i video di YouTube: «Graffiti, skate, rap, breakdance. Avrò avuto 12 anni, 13, e i graffiti mi hanno spinto dentro l’hip hop», racconta Skinny. «Mi si è aperto un mondo e ricordo che ero talmente preso che volevo rifare tutto quello che vedevo sullo schermo. Ogni momento della giornata, a scuola, in giro, per strada, sulle panchine, da solo o con i miei amici (pochi), scrivevo rime o taggavo i muri. Per andare e tornare da scuola dovevo prendere tre autobus ogni giorno: in pratica era diventato il mio personale parco giochi, dove provavo le rime o disegnavo. Poi ho iniziato a frequentare i contest di freestyle, i party, i concerti e così via. E ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni».

Noyz Narcoz e Club Dogo, i “cattivi del rap”, sono i modelli. Da loro attinge il linguaggio musicale, la terminologia, i riferimenti al mondo latinoamericano. «Sono da sempre affascinato dalla cultura chicana», confessa. «Ma più che latinoamericani, i riferimenti di cui parli sono dovuti alla Spagna. Molti amici ci vivono e usano quello slang. Mi piace come suona. Trovo che musicalmente si adatti benissimo ai miei testi».

“Io mi sono fatto per strada”, dichiara a muso duro nel brano Siciliano. E nei suoi testi, dal lato oscuro un po’ pronunciato, racconta la vita di quartiere.

La sua visione dell’hip-hop è radicale, il suo stile compatto, monolitico, duro e pesante come le rime delle sue canzoni. Che scrive di suo pugno: «In qualunque momento della giornata mi capita di buttare idee sul telefonino, le barre ma anche le linee melodiche dei pezzi. Quando vado in studio prendo queste bozze e le rielaboro, a volte da solo, a volte insieme ai producer con cui collaboro, sino ad arrivare alla versione definitiva».

“Io mi sono fatto per strada”, dichiara a muso duro nel brano Siciliano. E nei suoi testi, dal lato oscuro un po’ pronunciato, racconta la vita di quartiere. Ognuno di noi ha in sé un lato oscuro, ma poi sono la formazione l’istruzione il carattere l’ambiente a fare la differenza sulla strada che prendiamo. È però vero che da sempre l’essere umano è affascinato dal male, da ciò che ha visto fare in un film o letto in un libro. A Skinny è bastato aprire la finestra di casa. E il panorama che gli si è offerto sono “strade tipo Bronx spaccio, rap e prostitute”, ragazzi in “quattru su n’muturinu / da San Cristoforo fino a Librino / niscemu ca tuta macari ri sabutu / picchi no avemu soddi pi Moschino”, un “frate criminale / vende quelle bustine con dentro medicinale / dosi da razionare soldi da triplicare / paura di nessuno e grilletto pronto a sparare”.

«Ho vissuto un’adolescenza turbolenta. In un certo senso, disagi e influenze negative mi hanno spinto verso la mia musica, che è stato il modo per trovare me stesso e superare quei limiti»

Lo spaccio, la criminalità, le baby gang a Catania, come nelle periferie di tutto il mondo, diventano la prima possibilità di emancipazione da una condizione che è di immobilità sociale. In questi luoghi «la guerra con la vita», come la chiamava il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, la conosci da piccolo. Molti bambini crescono senza lo scudo dei genitori, divisi tra carcere e distacco. L’odio nasce dal disagio e l’odio che nutre le periferie di Catania è lo stesso che nutre i ghetti di Napoli, Roma, Londra e Parigi.

Anche Skinny ha avuto problemi con la giustizia: “Catania Sud Italia / Lo faccio per mia mamma / Piangeva in tribunale per la mia prima condanna”, rappa in Siciliano. «Ho avuto dei problemi legali, ma non voglio dargli importanza», ammette. «Ho vissuto un’adolescenza turbolenta. In un certo senso, disagi e influenze negative mi hanno spinto verso la mia musica, che è stato il modo per trovare me stesso e superare quei limiti. Voglio dire che so di cosa parlo nelle mie canzoni, e le mie canzoni servono proprio a questo».

Adesso il giovane rapper è la voce di chi vuole uscire dalla condizione di “ultimo”: “Ce ne andremo dal Blocco / La vita non ci ha dato molto / È più quello che ci ha tolto”

Adesso la rabbia e il rancore verso una società ingiusta, che non offre alcuna opportunità, l’ansia di riscatto, Skinny le riversa nella musica. “Voglia di evadere come dal carcere / Sta roba cotta che ci porta al margine / Vite spezzate perché non è facile / Lacrime dentro ma non riesci a piangere”, dice in Blocco, incrociando le vite degli abitanti delle case dalle mura scrostate di San Cristoforo con quelle dei diseredati che a Librino occupano casermoni-alveari, appartamenti, depositi trasformati in alloggio. Adesso il giovane rapper è la voce di chi vuole uscire dalla condizione di “ultimo”: “Ce ne andremo dal Blocco / La vita non ci ha dato molto / È più quello che ci ha tolto”.

«Ho perso molti amici», spiega. «Alcuni non ci sono più, uccisi dalla cosiddetta malavita. Altri, giovanissimi, sono stati arrestati. In questo modo il Blocco ti toglie un po’ di innocenza, ti toglie spensieratezza. Passi da bambino a uomo molto velocemente». Il Blocco ha tolto vite, ma non ha ucciso la speranza: “Sono partito da zero e voglio raggiungere il cielo” sfida in Ce la farò. E il cielo lo sta toccando. «Vuol dire che quello che faccio funziona, che chi mi ascolta ha capito che sono autentico e si riconosce nelle cose che dico e nel mio modo di esprimerle. Sono contento dei risultati che ho raggiunto, ma non sono ancora sazio».  

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