La regia di Nicola Alberto Orofino è stata più volte premiata dal consenso di pubblico e di critica sia per i suoi classici riadattati che per i testi contemporanei.
I PROGETTI IMMINENTI: CATANIA COME GLAM CITY. A Pasqua debutterà un suo testo scritto in collaborazione con due attori, Francesco Bernava e Alice Sgroi, intitolato “Aquiloni. Storia di un Salvatore detto Salvo e una Maria detta Maddy” e indaga in chiave ironica il rapporto tra mortalità e immortalità; a fine aprile, invece, dirigerà un monologo dal forte impatto territoriale per Catania, “Glam city”, tratto dal romanzo di Domenico Trischitta, che racconta la storia del trasformista catanese Gerry Garozzo (interpretato da Silvio Laviano). «È uno spettacolo che racconta la Catania degli anni ’70, una città che vuole diventare “glam”, ma rimane una città di provincia».
VENTUNESIMO IN SCENA. Dopo aver studiato al Piccolo di Milano con Luca Ronconi, Nicola Alberto Orofino ha sentito l’esigenza di tornare a casa e portare in Sicilia le istanze innovative apprese di anno in anno al fianco di grandi maestri. «Nel 2011, – racconta – insieme ad Egle Doria e a un gruppo di giovani attori, abbiamo deciso di fondare Ventunesimo In Scena, in modo da poter rispondere alla crisi del teatro catanese». L’ultimo spettacolo realizzato dalla rassegna teatrale di Ventunesimo In Scena è stato “Family Day” nel novembre 2015. Ma quali sono i criteri che spingono ad andare in scena con una storia o con un’altra? «Mi sono lasciato sempre guidare dall’istinto e dalla necessità, – ammette il regista – anche i classici sono un pretesto per raccontare l’attualità. Il nostro primo spettacolo è stato “Il Gabbiano” di Cechov e lo Stabile ci chiamò per una messa in scena, cosa che accadde anche l’anno successivo, come teatro un po’ “off”».
LE ISTITUZIONI, IL PUBBLICO, I GIOVANI. «Il problema del teatro a Catania è molto articolato: attorno ad un’istituzione ufficiale – il Teatro Stabile cittadino per il quale Orofino sta preparando una rivisitazione delle Troiane che non sarà rappresentata all’interno della rassegna ufficiale – ruotano una miriade di compagnie, alcune di valore, distinte per la loro esperienza europea, eppure non riconosciute. È come se le istituzioni non avessero mai avuto il coraggio di rinnovarsi, dopo la grande stagione di artisti quali Turi Ferro o Mariella Lo Giudice, ripetendo se stesse. Una tradizione senza un nuovo che avanza è solo vecchiume». Secondo il regista – e come lui altri artisti – la crisi del Teatro Stabile è innanzitutto una crisi di pubblico nata dall’incapacità di relazionarsi con gli uomini e le donne di oggi. «Tutto dipende da come racconti – afferma il regista – Recentemente ho presentato a Gela un adattamento de “Il Misantropo” di Molière e c’erano in sala due classi del liceo che hanno molto apprezzato lo spettacolo. I testi di Shakespeare comunicavano qualcosa nel Seicento e possono farlo nel 2017, ma non si può rappresentarli come nel 1960. Bisogna trovare il modo di parlare alle nuove generazioni. È un tentativo che io e i miei colleghi facciamo e che dovrebbe diventare la regola».
LO STATUS DELL’ ARTISTA E ALTRE ESPERIENZE. «Nei college americani l’esperienza teatrale è completamente diversa, – Orofino ha lavorato tanto anche all’estero, in particolare negli Stati Uniti – gli spettacoli vengono finanziati e l’attore ha il suo status lavorativo. In realtà è così anche in Europa, dove peraltro i siciliani sono molto amati, mentre in Italia non c’è lo stesso tipo di riconoscimento». A giugno il regista lascerà, per poco, la sua Sicilia e sarà a Milano per il debutto di un progetto che va avanti da ben quattro anni in collaborazione con Irene Serini: ItalianSelfie; attraverso il teatro si faranno incontrare gli italiani e si racconteranno le loro storie.