S’intitola “Quocumque Jeceris Stabit” l’album che uscirà il 12 luglio. «Si traduce “Ovunque lo getti starà in piedi”: è il motto dell’Isola di Man, ma è facile applicarlo alla Sicilia e al carattere dei suoi abitanti». «Il rock, per noi, è un contenitore di emotività quotidiana». Una canzone contro i falsi predicatori

Un album ogni 9,2 anni. È la frequenza con cui gli Uzeda pubblicano dischi. Indifferenti e noncuranti del business. Anzi. I quattro punkrocker catanesi hanno sempre rifiutato compromessi con il mercato, restando sempre fedeli alla leggenda rock. Duri e puri. Ostinati. «Siamo liberi, senza produttori» ripetono orgogliosi, mentre girano per il mondo ancora a bordo di un furgoncino, scaricando e montando loro stessi gli strumenti, come agli albori dell’epopea rock.  Così si possono permettere di chiamare “Quocumque Jeceris Stabit” l’album che il 12 luglio segnerà il loro ritorno discografico a tredici anni da “Stella”.

«Il titolo latino deriva dal motto dell’Isola di Man il cui simbolo è un triscele assai simile alla Trinacria siciliana» spiegano. «“Ovunque lo getti starà in piedi”: così si traduce il motto che è facile applicare alla nostra Isola e al carattere dei suoi abitanti. William Camden, studioso britannico, già nel 1600 dichiarava che il triscele dell’Isola di Man fosse stato disegnato prendendo spunto proprio dalla Trinacria. Già in tempi antichi, l’Isola di Man si diceva fosse stata creata da un gigante iracondo che scagliò una roccia in mezzo al mare e, anche qui, le somiglianze con miti e leggende nostrane continuano a sprecarsi, con buona pace di Polifemo e dei suoi faraglioni».

Se la parola “resilienza” solo negli ultimi anni è diventata di uso comune, la formazione catanese ne fa da sempre un punto di forza

Se la parola “resilienza” solo negli ultimi anni è diventata di uso comune, la formazione catanese ne fa da sempre un punto di forza. L’attaccamento alla terra etnea, la capacità di reinventare le regole, plasmare un linguaggio sonoro unico e riconoscibile, sfondare barriere metaforiche e confini geografici grazie alla musica e ai rapporti umani messi dinanzi alle logiche di mercato dello showbiz sono da sempre le loro caratteristiche principali.

foto The VeSSeL

Anche questa volta gli Uzeda si sono affidati alle sapienti mani dell’amico Steve Albini. Qualche caldo scricchiolìo analogico qui e alcune vibrazioni radioattive là. L’iniziale “Soap” si schianta in modo spettacolare, con la voce di Giovanna Cacciola sostenuta da una linea di basso che trasmette sottili cambiamenti dinamici. “Deep Blue Sea” allunga la tensione: la voce di Giovanna Cacciola si muove tra toni dolci e setosi e improvvise urla stratosferiche, mentre il marito Agostino Tilotta lancia trionfanti trame di chitarra. «Noi restiamo “rumorosi”» sorride Agostino. «Come ogni nostro disco, anche questo è registrato “live”. E ogni brano, prima di essere inciso, è stato provato sul palco». E, infatti, tutti gli otto brani del nuovo album sono stati presentati in anteprima alla festa di compleanno “Uzeda 30th!”, nel maggio 2018 all’Afrobar di Catania.

«Il rock, per noi, è un contenitore di emotività quotidiana. Ci trovi tutto: il folk, il jazz, il blues, l’opera lirica, la musica classica. C’è, soprattutto, il riassunto della vita, di tredici anni di vita, di quattro persone»

Sembra esserci una ritrovata coesione nell’estetica melodica e caotica degli Uzeda. Questo nuovo allineamento si sente soprattutto nella tormentata “Mistakes” e nel sommosso, ma non meno straziante, dolore di “Red”. Entrambe testimoni dei nostri istinti autodistruttivi. “Blind” è un blues che si regge sulla spinta ritmica del bassista Raffaele Gulisano e del batterista Davide Oliveri.  «Il rock, per noi, è un contenitore di emotività quotidiana. Ci trovi tutto: il folk, il jazz, il blues, l’opera lirica, la musica classica. C’è, soprattutto, il riassunto della vita, di tredici anni di vita, di quattro persone» sottolinea Tilotta.

Il brano conclusivo “The Preacher’s Tale” si avvolge attorno alla furiosa batteria di Olivieri, mentre la chitarra viscerale è alla base della stupenda melodia e dei disperati lamenti della voce di Cacciola, che nel finale sospira: «Sono spaventata».

«La canzone parla di una persona che si eleva a predicatore, che arringa le masse, mostrandosi per quello che non è, e riuscendo ad affascinare molte persone» spiega la cantante e autrice dei testi. Giovanna non punta il dito contro qualcuno in particolare, anche se è intuibile: «Questa persona non ha un nome, perché è un simbolo. Ce ne sono troppe di queste persone nel mondo adesso. Falsi predicatori che prendono il giro la gente».

foto Donata Marletta

Il marchio degli Uzeda è tornato, rinvigorito e più determinato che mai. «L’età avanza, ma non abbiamo ucciso il bambino che c’è in noi. Siamo sempre quello che suoniamo». Tour al via dal 19 luglio da Fermo. E una nuova promessa: «Un album dal vivo, perché questa è la nostra vera dimensione» annuncia Agostino Tilotta. Speriamo di non aspettare altri 9,2 anni.

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