Era il 1956 quando un gruppo di scienziati si imbarcò per la prima volta nell’impresa di creare una macchina che riproducesse la mente umana. Da quel momento, con una rapidità sorprendente, dati e algoritmi hanno sempre più influenzato le nostre vite, arrivando a conoscerci meglio di noi stessi. Processo irreversibile? E che ne è del libero arbitrio?

Una citazione di Jim Morrison ci dice: «Le persone credono di essere libere, ma sono solo libere di crederlo». Oggi nell’era di internet e dell’intelligenza artificiale siamo dinanzi a un grande rischio per la libertà di scelta. L’IA nasce nel 1956, al Dartmouth College, dove un gruppo di studiosi, tra cui Shannon e Minsky, stilano un programma con un team di dieci persone, per creare in due mesi una macchina in grado di simulare l’intelligenza umana. Successivamente, nel 2008, con l’innovazione tecnologica si passa alla costruzione di macchine addestrate all’apprendimento e all’elaborazione di quantità massicce di dati, utilizzati per esempio ai fini commerciali dalle grandi aziende che decidono quale pubblicità o servizi inviare alle persone che vengono selezionate in base ai loro comportamenti adottati nei social o nel web mediante algoritmi. Quest’ultimi sono dei processi impiegati per risolvere un problema o raggiungere un determinato obiettivo mediante il possesso dei dati di cui, ormai, si assiste ad un accumulo senza precedenti. Addirittura, i megadati sono equiparati al nuovo petrolio che alimenta l’economia. Ma ci sono dei rischi cui possiamo andare incontro con l’utilizzo sempre più diffuso di sistemi automatizzati. Un esempio è il cosiddetto flash crash, un intervallo di pochi minuti nel quale due importanti indici azionari statunitensi persero il 9% del loro valore, a causa di algoritmi che vennero usati per la compravendita di azioni. Secondo il fisico Neil Johnson della George Wasghinton University, mini flash crash si continuano a osservare sul mercato dal 2014. Situazioni analoghe si stanno verificando anche su Amazon, nei sistemi che fissano i prezzi dei prodotti in vendita sul sito. Il rischio, insomma, è di perdere il controllo dell’insieme degli algoritmi.

Ormai, siamo eredi di una evoluzione da cui non siamo capaci di liberarci, mentre il mondo artificiale intorno a noi si evolve con una rapidità sempre crescente. Sulla base dei dati personali di ciascuno gli algoritmi cui deleghiamo le nostre decisioni e a cui ci affidiamo ci spingono a compiere certe azioni condizionando il nostro comportamento, senza che ne siamo consapevoli. Qualunque grado di libero arbitrio pensiamo di avere, lo stiamo rapidamente perdendo. Da una ricerca dell’università di Cambridge è emerso che facebook ci conosce meglio di noi stessi e ci traccia anche al di fuori dello stesso social network.: ad esempio, mediante i like si può tracciare il profilo psicologico e sociale di ogni utente. «Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe sfuggire al controllo minacciando l’esistenza umana» è ciò che aveva dichiarato alla BBC, prima di morire, il prof. Stephen Hawking, celebre astrofisico britannico, noto per i suoi studi rivoluzionari sulla teoria dei buchi neri e sull’origine dell’universo. Quello che spaventava Hawking è l’evoluzione della tecnologia che oggi si sta dimostrando molto più veloce di quella della vita biologica dell’uomo.

Le parole di Hawking ci ricordano ciò su cui la fantascienza già da tempo ci ha fatto riflettere in film come 2001 – Odissea nello spazio di Stanley Kubrick – dove l’equipaggio della nave perde il controllo del supercomputer Hal – o altri come Terminator di Jameson Cameron, con Arnold Schwarzenegger nella parte di un cyborg assassino in una guerra apocalittica tra gli esseri umani e le macchine intelligenti. Non solo, anche lo stesso Elon Musk, creatore di PayPal, presidente di Tesla Motors e della Space X, ha diffuso anni fa un tweet che metteva in guardia sulla minaccia delle macchine, definendole «ancora più pericolose delle armi nucleari».

* Stu­den­te del cor­so di Sto­ria e Tec­ni­ca del gior­na­li­smo del­l’U­ni­ver­si­tà de­gli Stu­di di Ca­ta­nia te­nu­to dal prof. Giu­sep­pe Di Fa­zio

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