Quando frequentavo il quinto ginnasio, la mia classe andò a vedere un adattamento teatrale di Fedra al teatro greco di Siracusa. Ci ero già stata l’anno prima per guardare Medea, anche quella tragedia scritta da Euripide, e non c’era stato dettaglio che non mi avesse rimescolato fino in fondo le viscere. Tornavo quindi con aspettative e curiosità, dopo aver dato un’occhiata alla trama fra i banchi di scuola, ma consapevole del fatto che nessuna anteprima mi avrebbe davvero preparata a quanto avrei scoperto sulla mie pelle sul posto.

La delusione fu fortissima. Il cast era in gamba, la scenografia molto suggestiva, ma la storia, la storia. La storia non era fatta per me, non mi trascinava in alto per poi lasciarmi cadere col muso per terra com’era già successo con Medea. La storia era troppo lontana dalle mie pulsioni, perfino da quelle più distorte. Ero solo un’adolescente, e però mi avevano già messo i brividi opere come La signora delle camelie o Cime tempestose, per non parlare di decine di miti greci.

Insomma, non capivo la bugia di Fedra, non sopportavo l’impulsività Teseo. Non simpatizzavo nemmeno per Ippolito, così ingenuo e al tempo stesso così ignaro della forza di certi sentimenti. Era una vicenda assurda, quella in cui un amore non corrisposto portava a due suicidi, a una menzogna e a un terribile pentimento, e tutto senza che ci si scambiasse l’ombra di un bacio, di una carezza, di uno sguardo.

Tornata da teatro, ho archiviato per anni l’episodio e a quella tragedia non mi sono più interessata. Anzi, non fosse stato per la recente pubblicazione di rueBallu, casa editrice indipendente di Palermo, che ne ha pubblicato una riscrittura per bambini illustrata da Emanuela Orciari, probabilmente non avrei ripescato dalla memoria neanche quel pomeriggio a teatro.

La copertina del volume

E invece Ippolito. La tragedia dell’amore esiste, e con le sue tinte accese e le sue linee taglienti, compatte, leggerissime pretende di essere riscoperto. Di potersi riscattare. Lo fa incuriosendomi per due motivi: il primo è che si tratta di una maniera per far conoscere la storia ai più piccoli, come se anche loro avessero qualcosa da imparare, qualcosa che a me magari era sfuggito; e il secondo motivo è che la sua carta si fa sfogliare almeno con la stessa preziosa tenerezza delle sue parole selezionate nero su bianco per restituire lo spessore della trama perfino a chi ha ancora pochi anni di vita alle spalle.

Entrambi i motivi, alla fine, mi hanno portata a un nuovo SegnaLibro, a un’opera che aveva tanto da spiegarmi e da lasciare fiorire in me, a tratti contro la mia stessa volontà. Sarà pure vero, infatti, che non ero capace di empatizzare con i suoi protagonisti, ma il punto è che forse non mi riusciva perché stavo sottovalutando la furia dell’amore.

Certo che non capivo la bugia di Fedra, però le avevo permesso di raccontarmi fino in fondo quanto si sentisse in gabbia, e quanto odio provasse per l’uomo da cui non poteva ricevere un briciolo di affetto? D’accordo, non sopportavo l’impulsività di Teseo, eppure quante volte la vita mi aveva poi messa davanti a situazioni in cui solo la ragione aveva raffreddato la mia gelosia… E Ippolito, tanto lontano da ogni struggimento, non assomigliava forse a me e alla maniera sbrigativa con la quale avevo liquidato le sue vicissitudini?

Ci sono volute 79 pagine, ma alla fine ho capito che non c’era niente da capire. Che bastava sentire un po’ di più, con meno rigidità. Che non ci deve essere niente da capire, che la furia amorosa non ne dà proprio la possibilità. E c’è voluta una scrittura in grado di parlare con chi ancora a parlare sta imparando dai più grandi, per rimettermi in discussione e intuire cosa volesse dire realmente Euripide, quando scriveva: «Parla se hai parole più forti del silenzio, altrimenti, conserva il tuo silenzio».

Che forse è un altro modo per dire: evita di interpellare la ragione per decifrare la lingua che può gridare il tuo cuore. Ecco qui. Colpita, affondata, e con piacere segnata.

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